Cultura e Spettacoli

Nathalie Sarraute, alle origini della scrittura

Tradotto «Infanzia», l’opera dell’autrice francese che è insieme autobiografia e riflessione sulla parola

Infanzia della vita e della scrittura, quella raccontata da Nathalie Sarraute (Infanzia, Cronopio, pagg. 232, euro 16; traduzione di Oreste Del Buono), «perché l’infanzia (come dice la parola) è il momento della sensazione che cerca la lingua», come scrive Ginevra Bompiani nella postfazione. E di continuo, in questo libro pubblicato da Gallimard nel 1983 e ora in prima traduzione italiana, Nathalie Sarraute (Ivanovo, Russia 1902 - Parigi 1999), viene imprigionata dalle parole, proprio in quanto gravi di senso, laddove, nel territorio nebuloso della memoria del periodo infantile, in Russia, e dunque in quello altrettanto indefinito della parola in via di formazione «tutto fluttua, si trasforma, sfugge...». Il romanzo - storia, parzialmente autobiografica, di un’infanzia trascorsa tra Francia, Russia e Svizzera negli anni che precedono la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa - e l’operazione di scrittura in genere, è così un tentativo di «far sviluppare» qualcosa che altrimenti resterebbe per sempre rachitico, frenato; e il linguaggio, oggetto metamorfico per eccellenza, acquista peso après coup, si raggruma e si solidifica in un territorio che resterà però comunque una terra di nessuno. Le parole sono entità fisiche, che passano, premono, entrano nelle vecchie dimore, vengono acchiappate o lasciate andare.
«“Allora, hai proprio deciso di fare una cosa simile? Rievocare i tuoi ricordi d’infanzia?”... “No, non farlo”... “Sì, lo faccio”» è l’incipit della storia. E nel romanzo seguiamo la piccola Nataša che, attraverso larghe falle nella memoria, cresce sotto il nostro sguardo: dai primi anni trascorsi tra Parigi e la Russia, a Ivanovo, il luogo natale, e la casa, per lei la più bella casa del mondo. Un universo ovattato, l’educazione di una bambina dabbene, con istitutrici e servitù. E poi la separazione dei genitori, la nuova esistenza a Parigi, insieme al padre e la sua seconda moglie, che a poco a poco si rivelerà una vera matrigna... Il racconto, in cui spiccano alcuni episodi «forti» sui quali la scrittrice (degna rappresentante della sua scuola, il nouveau roman) torna ossessivamente, termina con l’ingresso di Nataša al liceo, segno di una conquistata indipendenza.


Ora, non che quanto abbiamo letto sia affatto originale o di particolare pregnanza: tutte le ragazze di buona famiglia possiedono antiche case abitate da creature fantasmatiche, tutte hanno paura di aggirarvisi da sole, e quasi tutte hanno matrigne cattive o anche solo indifferenti e padri colmi di tenerezze inespresse: la sola differenza è che la Sarraute queste cose le sa raccontare.

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