Roma

Nel Lazio 366 comuni su 378 sono a rischio idrogeologico

Nel Lazio 366 comuni, il 97 per cento del totale (378), sono classificati a rischio idrogeologico dal ministero dell’Ambiente. Un dato drammatico, che pone il Lazio al sesto posto nella graduatoria nazionale del dissesto, dopo Calabria, Umbria, Val d’Aosta, Marche e Toscana. È quanto si legge su Ecosistema rischio 2008, l’ultimo dossier di Legambiente, che attinge e rielabora i dati del ministero. Ben 234 comuni del Lazio sono a rischio frana, altri 129 a rischio sia di frana che alluvione.
Numeri che fanno paura. Evocano Messina, l’alluvione di Firenze (1966), la frana di Sarno (1998, 160 morti). Ma per restare da noi, nel Lazio, basta tornare a meno di un anno fa, dicembre 2008, quando Prima Porta, Isola Sacra e San Basilio a Roma finirono sotto un metro d’acqua. Ad aggravare le cose contribuiscono l’abusivismo edilizio, il disboscamento, le dighe di rifiuti nei torrenti. Il 75 per cento dei comuni laziali ha nel proprio territorio abitazioni in aree golenali, ossia in prossimità degli alvei dei fiumi e in aree a rischio frana.
Quasi il 60 per cento conta in tali zone anche fabbriche industriali. Inutile ricordare che le norme nazionali vietano l’edificazione di un solo mattone in queste zone. Ma non basta. Solo il 59 per cento dei comuni è dotato di un piano di emergenza, solo il 48 per cento lo ha aggiornato negli ultimi due anni, solo il 16 per cento ha organizzato esercitazioni con la popolazione in caso di calamità. La metà dei comuni laziali, insomma, non fa praticamente nulla per prevenire alluvioni e frane.
Nella classifica regionale di Ecosistema rischio, la maglia nera tocca a Vicovaro (Rm): urbanizzazione su aree a rischio, nessun piano di emergenza, nessuna informazione agli abitanti, nessuna struttura di Protezione civile. Note particolarmente negative anche per Morlupo (Rm), Piglio (Fr), Cori (Lt), Rieti, Poggio Moiano (Ri), Amatrice (Ri), Antrodoco (Ri). Perfino i pochi interventi di messa in sicurezza, sottolinea Legambiente, continuano spesso a seguire filosofie tanto vecchie quanto inefficaci: «Si vedono sorgere argini senza un serio studio sull’impatto che possono portare a valle, si assiste alla cementificazione degli alvei e all’alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi.


Inoltre, gli effetti dei mutamenti climatici in atto, ormai riconosciuti dalla comunità scientifica, comportano una drammatica alternanza di periodi di scarsissime precipitazioni e di piogge eccezionali in periodi di tempo molto brevi, e amplificano il pericolo di esondazioni dei corsi d’acqua, di frane, di smottamenti».

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