Nella partita greca vince la Germania

Ma l'Fmi frena: «Vogliamo garanzie per partecipare al salvataggio»

Rodolfo Parietti

Tutti contenti, tutti a elogiare un «successo importante e incoraggiante», nella chiosa firmata da Pier Carlo Padoan. Euforia poco comprensibile. Sarà per colpa della poca lucidità dopo ben 11 ore di negoziati, ma da qualunque parte lo si rigiri l'accordo sulla Grecia partorito faticosamente dall'Eurogruppo ha un solo vincitore: la Germania. Ma è una vittoria che Berlino rischia di pagare a caro prezzo. Seppur a scoppio ritardato, ieri pomeriggio il Fondo monetario internazionale è tornato a inarcare il sopracciglio: l'Europa, ha spiegato un funzionario, non ha ancora specificato le misure per alleggerire il debito ellenico e sul debt relief serve un chiaro impegno, condizione necessaria perché l'Fmi partecipi al salvataggio. Insomma, per chiudere la partita serviranno ancora i supplementari con i Paesi dell'eurozona.

L'inflessibile ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, sembra dunque aver fatto i conti senza l'oste. Ai colleghi ha imposto che solo a partire dal 2018 si cominci a discutere se allungare le scadenze, a valutare un eventuale reprofiling del debito e a esaminare un differimento del pagamento degli interessi sui prestiti. Dal tavolo è sparita la richiesta dell'organizzazione guidata da Christine Lagarde di adottare un tasso fisso all'1,5%, mentre è passata l'opzione in base alla quale, fra due anni e mezzo, sarà adottato un tetto agli oneri debitori. In pratica, i bisogni finanziari lordi di Atene resteranno sotto il 15% del Pil nel medio termine, e sotto il 20% del Pil nel lungo termine. Tutto, naturalmente, sulla carta. Come sarà concretamente possibile contenere le esigenze di finanziamento, al momento non è dato sapere. Al tempo stesso, è rimasto in piedi l'altro punto di attrito con l'Fmi, quel 3,5% di avanzo primario giudicato «irrealistico» da Washington, che spingeva per adottare un surplus di un punto e mezzo.

Un'intesa così fumosa nei contenuti e così sbilanciata nell'accogliere i desiderata della Germania non poteva passare senza che il Fondo alzasse il ditino. Ma il governo di Angela Merkel ha preferito forzare la mano, tanto vitale era tenere a debita distanza dalle elezioni di fine 2017 un tema potenzialmente esplosivo come quello della ristrutturazione del debito greco.

Berlino ha concesso appena le briciole. Per poter incassare, il mese prossimo, 7,5 dei 10,3 miliardi di aiuti stabiliti con l'accordo, Atene dovrà sottoporsi a un'ultima verifica tecnica che scandaglierà le ultime misure economiche prese dal Parlamento. Ovvero l'ulteriore, massiccia dose di austerità che il premier Alexis Tsipras ha fatto ingoiare al Paese. Poi, arriverà il semaforo verde. Nelle casse greche rimarranno comunque pochi spiccioli, visto che solo alla Bce vanno restituiti oltre 3 miliardi entro luglio.

Sempre che l'irrigidimento del Fondo non riporti tutto in alto mare.

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