Nel 1539 uno scrittore beneventano, Nicolò Franco, pubblica un libello, I Dialogi piacevoli, composto di dieci brevi colloqui. Lottavo è dedicato al mestiere del libraio e reca appunto il titolo di Dialogo del venditore di libri, ora ristampato per i tipi della casa editrice Marsilio (a cura di Mario Infelise, pagg. 64, euro 10).
Sin dalla sua comparsa, lopera ha un notevole successo. In ventanni ha varie edizioni e dà allautore una certa notorietà, ma non riesce ad avere la meglio sul clima repressivo che nel 1559 porta alla pubblicazione dellIndice romano dei libri proibiti. Il pamphlet non viene inizialmente citato (sarà messo al bando a Parma solo nel 1580), ma dopo aver vietato un altro testo dello scrittore campano, il SantUffizio condanna a morte Franco per averlo identificato quale autore di un anonimo commento «sopra la vita et costumi di Paolo IV». È impiccato l11 marzo 1570.
Il Dialogo del venditore di libri è di trentanni prima. Sannio, alter ego dellautore, tenta di convincere lamico Cautano a «farsi libraio», ma lo avvisa subito: «se ben larte di vender libri, pare la più facile che si ritrovi, per esercitarla ben bene, bisogna altro che haver bottega con la bella insegna apiccata dinanzi a la porta, carte qua, libri indorati là, legatori dentro, e legatori fuori... Vi bisogna havere millaltre industrie». E, quando il protagonista gli rammenta che è importante evitare di essere colti impreparati circa strane richieste, Cautano chiede come fare. Ecco il suggerimento: allavventore che chiede il libro che non hai, basta rispondere che cè, «ma di qualche stampa non troppo buona, con altre scuse per che non le compri chi le domanda», almeno fino a quando non sia effettivamente disponibile.
Ma perché questo innocuo e divertente pamphlet viene inserito nellindice parmense? Due le ragioni: una teologica, laltra linguistica. Nella narrazione, Franco mette in bocca al suo personaggio riferimenti laudativi ad Erasmo da Rotterdam (vero e proprio «inimicus horribilis» della Chiesa del XVI secolo) ed invocazioni religiose miste ad espressioni scurrili ma esilaranti che, nonostante limpiccagione e la censura delle sue opere, lo renderanno popolare per molti anni. Così, quando la morsa inquisitoria si fa meno pressante, uno studioso domenicano, Girolamo Giovannini da Capugnano, decide di metter mano alla vecchia edizione per renderla conforme ai desiderata del SantUffizio. Il curatore non si limita però ad espurgare le frasi più indecenti. Fa di più: decide di riscrivere ex novo interi passi, sostituendo, ad esempio, la citazione dellautore dellElogio della follia con un passo di suo pugno sulla necessità e sulla bontà della censura.
Nonostante il rimaneggiamento stravolga la struttura, nei quindici anni successivi lopera ha altre sei edizioni.
Nicolò Franco e il peccato di scrivere libri
Torna un «Dialogo» dellautore impiccato nel 1570 per un testo (anonimo) su Paolo IV
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