Cinema

Nolan vs Kubrick: l'eredità mancata

La distanza tra i due registi è enorme. Paragonarli è solo un giochino per critici

Nolan vs Kubrick: l'eredità mancata

Da quando Stanley Kubrick è morto, incessante è la ricerca di un successore.

Primo venne Paul Thomas Anderson, regista americano tra i più impegnati della sua generazione, che dall'esordio ha prodotto con passo rilassato una serie di film eclettici, formalmente impeccabili, lenti e ambigui.

Poi fu la volta di David Fincher, che condivide con Kubrick una predisposizione al controllo rigoroso della messinscena e la volontà di ottenere la ripresa perfetta senza prestare troppa attenzione al numero di ciak.

Ultimamente va forte Yorgos Lanthimos, presumo per il gusto satirico e una certa predisposizione alla critica sociale, anche se è probabile che l'uso di grandangoli estremi abbia avuto il suo peso.

Ma capita di vedere il nome di Kubrick associato anche a Wes Anderson, il confronto che meno riesco a comprendere giacché, a parte un'ossessione per la prospettiva centrale, la sua e quella di Kubrick mi paiono due idee di cinema agli antipodi.

D'altra parte ho visto negli anni accostare a Kubrick anche Terrence Malick (chissà se per la rarefazione delle uscite in sala), Nicholas Winding Refn (gli piacerebbe) e Neil LaBute (chi?!?).

A ogni modo, il candidato più promettente è senza dubbio Christopher Nolan, la cui recente opera magna Oppenheimer sta risvegliando nei critici cinematografici l'inclinazione ai paragoni azzardati. Ad esempio la settimana scorsa Federico Pontiggia sul Fatto Quotidiano ravvisava «un sospetto che ormai rasenta la certezza: Christopher Nolan è l'unico erede possibile di Stanley Kubrick».

L'avesse scritto tre anni fa, la Warner Bros. avrebbe ringraziato. Sono convinto che in larga parte l'accostamento tra Nolan e Kubrick sia stato creato, o come minimo alimentato, dal reparto marketing della Warner.

Oppenheimer è un film Universal ma fino al penultimo lavoro di Nolan, Tenet, era la Warner ad avere col regista un accordo esclusivo per il finanziamento e la distribuzione dei film. Accostando Nolan a Kubrick la major otteneva un doppio vantaggio pubblicitario, visto che anche i film più famosi di Kubrick fanno parte del catalogo Warner. Si ricorderà la presenza di Nolan per le commemorazioni del cinquantenario di 2001: Odissea nello Spazio, con la ridistribuzione nelle sale di tutto il mondo di una copia in pellicola 70mm da lui personalmente supervisionata e presentata con gran fanfara al festival di Cannes del 2018.

L'amore quasi sensuale per la pellicola e le macchine da presa è in effetti un altro punto di contatto tra i due registi, ma Pontiggia citava giustamente come elemento comune soprattutto la volontà totalizzante: Nolan come Kubrick mette mano al copione, giganteggia sopra i direttori della fotografia e i suoi montatori, produce e dirige in proprio, utilizzando le major di Hollywood solo come fonte di soldi, restandone il più possibile indipendente.

Questa attitudine onnivora è in effetti l'unico tratto che mi sembra possa davvero accomunare i due registi, se si prescinde dal culto attorno al proprio nome che Nolan è riuscito a sviluppare tanto quanto Kubrick (i nolaniani mi pare peraltro siano pure peggio dei kubrickiani: più arcigni, più livorosi, forse perché si sentono sotto minaccia, la loro devozione non ancora del tutto assurta a religione riconosciuta). È indubbio che Nolan lasci in ogni sua opera «le impronte dell'autore totale», per continuare a citare dall'articolo di Pontiggia. Per dirla in altro modo: un film di Nolan, tanto quanto un film di Kubrick, lo si riconosce subito.

Temo però che le affinità finiscano qui. Gli elementi simili restano tutti in superficie: sono tratti formali, stilistici. A Nolan manca, direi se fossi un critico, una sorta di profondità filosofica. Fino a ora (parlo al passato perché Oppenheimer appare almeno in parte un giro di boa) i film di Nolan erano sostanzialmente dei giocattoli-rompicapo, dei fulgidi esempi di intrattenimento intelligente e poco più. Non che i film di Kubrick non siano parimenti costruiti per stimolare sensi e intelletto, ma avevano un sovrappiù di pensiero. Non mi pare che a Nolan interessasse, sempre per parlare in critichese, prendere di petto i grandi temi o esporre verità sulla condizione umana, come invece faceva Kubrick. Il filo rosso della filmografia kubrickiana, da un punto di vista di contenuto, è l'indagine nelle zone d'ombra della psiche umana, il toccare ed esporre i tabù dell'uomo moderno. Quello di Nolan qual è?

Ci sono, in effetti, critici che non condividono questa pretesa discendenza Kubrick-Nolan. Ad esempio Alberto Crespi su Strisciarossa se ne diceva stupefatto e criticava Nolan perché in Oppenheimer ha semplificato oltremodo tutte le questioni politiche relative dapprima ai danni arrecati alle popolazioni Apache, Navajo e Chicane che vivevano attorno ai laboratori dove venne sviluppata la bomba e poi all'annientamento di due città giapponesi, con duecentomila civili deceduti all'istante e chissà quanti altri in seguito. Per non parlare del dilemma morale di essere «diventato Morte, il distruttore di mondi», come disse il vero Oppenheimer citando la Bhagavad Gita, cioè di aver creato l'Ordigno Fine di Mondo, per dirla invece come Kubrick e Il Dottor Stranamore. Insomma, un film dove la luce dell'atomica non proietta alcuna ombra. Marco Giusti gli faceva eco su Dagospia evidenziando che «il candido Oppenheimer per Nolan diventa un eroe americano puro» in un film che «funziona benissimo a livello di racconto ma che finisce per dimostrarci i limiti del cinema di Nolan».

Neppure sul piano visivo Oppenheimer, con le sue scintille e scie e fiammate, può competere con 2001 e il suo finale psichedelico. «E lasciamo perdere, per cortesia, Il Dottor Stranamore», chiudeva sempre Crespi, «non vorremmo provocare il fantasma di Kubrick oltre il lecito».

Tra questi critici dissidenti c'è insomma l'idea che il cinema di Kubrick sia migliore di quello di Nolan, più serio, più riflessivo. Personalmente non penso che sia una questione di chi sta sopra e chi sotto nella scala della qualità o dell'impegno. Casomai, se proprio, è una questione di ampiezza: Kubrick arriva a toccare tanto la bella forma che la ricca sostanza, il successo al botteghino e il prestigio del cinema d'autore, il pensiero critico ma pure i fallimenti della ragione. Ogni suo presunto erede lascia scoperto qualcosa: Wes Anderson, Fincher e dunque Nolan scarseggiano in portata filosofica, Lanthimos e Paul Thomas Anderson in visionarietà e richiamo pop.

«Non sarà venuto il momento», si chiedeva Mario Sesti, spero un po' retoricamente, in un post su Facebook, «di ammettere che Nolan è fondamentalmente un grande stilista dell'azione nonostante cerchi disperatamente di dimostrare di essere l'autore di un cinema/pensiero come Kubrick o Boorman o Tarkovskij?».

Ma soprattutto, mi chiedo io, non sarebbe l'ora di capire che questo giochino degli epigoni, dei discepoli, degli eredi è sommamente inutile giacché ogni artista fa caso a sé? Lo diceva anche Kubrick: «C'è sempre qualcosa in comune tra i bei film. La rabdomanzia delle parentele è il lavoro dei critici, e il più delle volte se le inventano».

*Filippo Ulivieri è il maggiore esperto italiano del cinema di Kubrick.

Il suo ultimo libro, Sulla Luna con Stanley Kubrick, è di prossima uscita.

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