Controcultura

Non va più di moda però la guerra è scomoda

Daniele AbbiatiBandiere della guerra in giro non se ne vedono ancora, a fare compagnia ai pupazzi di Babbo Natale che si arrampicano, inquietanti anch'essi, c'è da dire. Eppure le bandiere della pace (ricordate lo slogan «pace da tutti i balconi», con lenzuolate sui giornali e ovunque per strada, anno 2002 e seguenti?) sono state da quel dì ammainate. Sappiamo, grosso modo, com'è andata poi a finire in Irak. In Siria e dintorni, vedremo. Le bandiere della guerra sarebbero «scorrette», questo va senza dirlo, per dirlo alla francese, perché noi, oltre che «Charlie» ci siamo detti persino «Paris», qualche settimana fa, e sembra un secolo, in un impeto di grandeur con i lumini al posto dei lustrini. Ma oltre che «scorrette» sarebbero autolesioniste, un invito a nozze con tutti i crismi per gli «isisiani» o come diavolo vogliamo chiamarli. Kebap a domicilio con cipolla e tritolo? Ci mancherebbero soltanto i kamikaze di condominio, lasciamo perdere... Fatto sta che la guerra è una bandiera scomoda, un doppiopetto che ingessa gli uomini e un tailleur che richiede alle donne forme da modelle. Quindi, lasciamo perdere anche quella.

Ma se la bandiera della pace non tira più, che si fa? Fra i pensierini del nuovo anno, che ne direste di infilare le bandiere della Guerra e pace? Un colpo al cerchio e uno alla botte, ricordandoci che loro due, guerra e pace, vanno a braccetto dai tempi di Caino e Abele. Chi meglio del nobile anarchico Lev Nikolàevic Tolstòj ce lo ha spiegato? Chi più di lui ce lo potrà rispiegare, a distanza di un secolo e mezzo?

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