Cultura e Spettacoli

«Con una nonna criminale non potevo che scrivere noir»

«Con una nonna criminale non potevo che scrivere noir»

L o scrittore americano Don Winslow ha sempre confessato candidamente di avere fatto un po’ di tutto nella sua vita: si è laureato in storia dell’Africa, è stato giornalista ma anche investigatore privato, venditore di condimenti per insalata, esperto di tecniche antisequestro, comparsa su diversi set cinematografici. E questa sua poliedricità è emersa subito in noir come Il potere del cane, La pattuglia dell’alba, L’inverno di Frankie Machine, Le belve (editi tutti da Einaudi) ma anche in un thriller come Satori (Bompiani), storie che ne hanno fatto negli ultimi anni una delle voci più dirompenti ed originali della narrativa statunitense. Una voce singolare visto che Don Winslow è uno dei pochi che riesca a raccontarci dall’interno l’universo criminale di zone come la California, riuscendo a mescolare abilmente azione, dramma e umorismo. Hollywood ci ha impiegato poco ad accorgersi del suo talento, opzionando praticamente tutti i suoi libri, focalizzando in particolare la sua attenzione sugli imminenti adattamenti de L’inverno di Frankie Machine (progetto che dovrebbe vedere coinvolti Michael Mann e Robert De Niro) e Savages (Le belve), attualmente in postproduzione e affidato alla regia di Oliver Stone che ha deciso di coinvolgere in questo film (interamente dedicato al tema del narcotraffico) attori come John Travolta, Benicio del Toro, Uma Thurman, Blake Lively, Trevor Donovan e Taylor Kitsch.
Mister Winslow come ha conosciuto la realtà criminale americana è stata una persona davvero insospettabile?
«Mia nonna era un personaggio davvero singolare e non solo negli anni Trenta della depressione bazzicò per i casinò e le bische clandestine ma ebbe stretti rapporti con uno spregiudicato politico americano di New Orleans che si chiamava Huey Long. Praticamente mia nonna amministrò per un lungo periodo per conto di Long un intero quartiere e quando la mafia decise di allungare le mani proprio su quella zona mia nonna si mise praticamente al soldo della mafia gestendo per loro operazioni di gioco d’azzardo nei casinò e soprattutto quelle delle scommesse dei cavalli. Mi ricordo che mia nonna aveva un carattere tutto suo, affascinante e terribile allo stesso tempo. Andava in giro armata di pistola ed è lei che mi ha iniziato al mondo delle scommesse e del gioco d’azzardo insegnandomi a giocare a dadi e a carte. Se perdevo giocando a poker con lei si fregava i miei giocattoli, perché era quella la ricompensa delle partire che facevo con lei».
C’è qualche caso di cui si è occupato come investigatore privato che ha poi usato per le sue storie?
«Ho cercato di tenere fuori il più possibile dal mio universo letterario la maggior parte dei casi di cui mi sono occupato, perché ho cercato di essere fedele al codice deontologico professionale che lega un investigatore ai suoi clienti e che lo obbliga a non diffondere segreti di cui è stato testimone. In realtà, ci sono solo un paio di casi di cui ho potuto parlare esplicitamente perché sono finiti in giudizio e quindi sono diventati di pubblico dominio. In particolare, uno di questi episodi che riguardava un’indagine per incendi dolosi è stata per me lo spunto per il romanzo La lingua di fuoco (Einaudi)».
Quanto sono stati sorprendenti i risultati ottenuti dal suo Le belve?
«Anzitutto mi ha sorpreso che per la prima volta un mio libro venisse recensito su Times da parte di Janet Maslin che avrebbe potuto stroncarmi e invece si è divertita a leggermi. Poi mi ha stupito che Oliver Stone dopo averlo letto mi abbia voluto conoscere e mi abbia chiesto di cosceneggiare la mia storia assieme a Shane Salerno per l’adattamento cinematografico. Mi ha sorpreso che Stone mi abbia detto: “vai e sceneggialo pure come vuoi!”. Ci ha lasciato scrivere senza fare degli incontri preparatori. E mi ha fortemente colpito il suo senso dell'umorismo, davvero non me l’aspettavo».
Con La pattuglia dell’Alba ha fatto riscoprire ai lettori il mondo dei surfisti…
«Mi ha sempre affascinato il mondo del surf perché sono sempre stato attratto dall’oceano. Come scrittore sono sempre alla ricerca di spunti interessanti per le mie storie e il movimento dello scorrere delle onde mi è sembrato sempre metaforicamente molto funzionale a uno stile come il noir. Le onde sono in costante movimento, c’è sempre qualcosa in superficie sul mare che puoi notare ma sotto c’è sempre qualcosa di più misterioso che si può nascondere, qualcosa di insondabile, di non calcolabile per l’uomo. Il senso di pericolo ma anche quello di sfida all’ignoto è da sempre tangibile in mezzo all’oceano. Inoltre il mondo dei surfisti è davvero molto sfaccettato e ti permette di raccontare una comunità singolare nel suo genere.

Ci sono tante subculture che lo caratterizzano e che cambiano spesso da spiaggia a spiaggia, slang e abitudini singolari che mi sono divertito a raccontare nel mio romanzo».

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