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«Le nostre perle sono gli emarginati»

Il padre generale: «Il Cottolengo mette al centro i bisogni di poveri e malati»

Michelangelo Dell'Abate

Affermare il valore sacro della vita umana, dal suo inizio fino al suo termine naturale. La Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata da San Giuseppe Cottolengo nel 1832, ha scelto di porre la dignità della persona al centro della propria mission, prendendosi cura dei poveri e dei malati, ossia dei bisognosi senza distinzione alcuna perché in loro riconosce il volto di Cristo. L'istituzione civile ed ecclesiale, che comprende suore, fratelli, sacerdoti e laici, si ispira al principio di carità cristiana e pone al centro i poveri.

«Mentre la società contemporanea tende a escludere e a scartare coloro che non sono funzionali agli obiettivi contingenti, nelle nostre case valorizziamo i piccoli mettendoli al centro di un progetto umano e spirituale e considerandoli, come amava definirli San Giuseppe Cottolengo, le nostre perle preziose», osserva il padre generale, don Carmine Arice. Nei diversi Paesi dove è presente, come in una grande famiglia tutti, sani e malati, religiosi e laici, secondo la vocazione e la misura della propria donazione e impegno si aiutano reciprocamente ad attuare le finalità evangeliche dell'Opera. Nel corso di due secoli, il Cottolengo ha accolto tra le sue mura migliaia di persone con disabilità mentale e fisica grave e gravissima prive di una rete familiare e sociale, che necessitano di assistenza continua e cure particolari. Oggi ospita nelle diverse strutture persone con disabilità psichiche, fisiche e sensoriali, per le quali organizza attività mirate. I servizi per i malati più gravi sono organizzati in cinque macro aree: assistenza, educazione, riabilitazione, socializzazione e attività occupazionali e ricreative. La nuova campagna per la destinazione del 5x1000 al Cottolengo è un appello alla responsabilità verso il mondo che ci circonda. Il messaggio va oltre l'iniziativa di raccolta fondi: guardarsi intorno, ci dice il Cottolengo, significa vedere il dolore degli altri e riconoscere che ci appartiene.

È un messaggio autenticamente cristiano: far bene al prossimo fa bene anche a noi.

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