Controcultura

Null, l'America di ieri tra dolcezza e ferocia

Gian Paolo Serino

«Helena era incastrata in un buco dimenticato da Dio: un postaccio a cui la gente non si affezionava quasi mai, e che non si affezionava quasi mai alla gente». Potrebbe essere la descrizione di un qualsiasi paese o città del mondo nella claustrofobia del provincialismo, e invece siamo a Helena, montagne settentrionali del West Virginia, cittadina dove lo scrittore americano Matthew Neill Null ambienta Come il paradiso come la morte (Bompiani, pagg. 132, euro 19; traduzione Milena Sanfilippo). Un romanzo d'esordio che insieme a Lo sport dei Re di C.E. Morgan (Einaudi) è forse il miglior romanzo statunitense pubblicato quest'anno in Italia.

Nel titolo originale Honey for Lion («Il miele del leone») la chiave di lettura del libro: richiama uno dei primi episodi della giovinezza di Sansone quando, andando dalla sposa promessa, scopre che nella carcassa del leone che ha ucciso per lei c'è un nido di api riempito di miele. Ed è così l'America che racconta: tra ferocia e dolcezza. Ha per protagonisti «uomini che portavano con sé quello che portano gli uomini: bibbie e violini, punti di sutura e dentiere, dadi e fogli di congedo, storie di violenza, fede e paura». Ambientato tra la Guerra Civile e la coalizione del «New Deal» del 1932, il West Virginia viene raccontato come «un museo di imprese fallite, di uomini anonimi e senza storia che svolgono il proprio lavoro coscienti che non saranno mai riconosciuti dalla Storia». Ed è proprio attraverso questi «dimenticati», taglialegna che iniziano a disboscare selvaggiamente le foreste, tra «città scolorite dalle proprie vesti», che Null ci racconta come «dopo l'ascia viene l'aratro e dopo l'aratro viene la pioggia». In quegli uomini senza gloria, vessati da sindacati che premiano i lavoratori senza scrupoli in un ambiente di violenza e burocrazia, di fatica e di sogni, si leggono i precursori di quel capitalismo sfrenato che oggi sfrutta ogni benché minima risorsa della terra pur di trarre profitto.

Con una scrittura sempre tesa, ma che ha il respiro del grande classico (una Flannery O' Connor che incontra uno Steinbek luddista), Neill ci consegna un libro che più che un romanzo è un monito a ritrovare le nostre radici e a difendere i nostri confini della frontiera.

Commenti