Stile

La nuova Belle Époque di Louis Vuitton

All'insegna dell'ecologia, la sfilata ha chiuso la Fashion week di Parigi

È finito quello che il popolo della moda chiama «The SS fashion month», ovvero il mese delle sfilate per la primavera/estate a New York, Londra, Milano e Parigi. In media abbiamo visto 7/8 show al giorno per 25 giorni. Questo significa che solo a Parigi, la più lunga e affollata delle fashion week, ci sono passate sotto gli occhi più o meno 5000 silhouette: un'enormità. Tirare un consuntivo è veramente difficile: dopo una simile overdose di moda hai solo voglia di trasferirti per un po' in un campo nudisti dove si parla al massimo del tempo. Eppure la sfilata di Vuitton ci è rimasta in testa dalla prima all'ultima uscita e non solo perché ha chiuso ufficialmente l'interminabile calendario francese. Per prima cosa il set era a dir poco pazzesco: un mastodontico cubo di legno costruito dentro una gigantesca struttura in plastica all'interno della cour Carré du Louvre. Una solerte nota della maison avverte che il legname proviene da foreste francesi gestite in modo sostenibile e che verrà interamente riciclato grazie a una partnership con ArtStock, un'associazione che ha per missione il riciclo e la valorizzazione di elementi utilizzati per produzioni artistiche. La notizia è consolante e quanto meno in linea con l'argomento di cui tutti parlano: ecologia, sostenibilità, ambiente. Sempre dalle note di sala apprendiamo che il designer, Nicholas Ghesquière, si è ispirato a quel periodo tra la fine dell'800 e la Prima Guerra Mondiale che in Francia chiamano Belle Époque. È l'epoca romantica e avventurosa in cui si riscoprono le occasioni dell'abito e la classe borghese comincia a dettare le regole del gioco estetico in Francia con l'Art Nouveau e in Inghilterra con il movimento Arts & Craft. Se Parigi issa la bandiera delle geniali costruzioni progettate da Eiffell, Londra agita il vessillo delle opere di Mackmurdo o William Morris. Il talentuoso designer francese saggiamente si tiene lontano dall'operazione nostalgia con un potente lavoro sulle proporzioni che non ricordano nemmeno lontanamente lo stile Belle Époque. L'unica citazione letterale che si concede sono le immagini delle stupende vetrate policrome di casa Vuitton ad Asnières e l'uso (francamente magistrale della storica toil Monogram che George Vuitton ha creato nel 1896. Tutto il resto è pura modernità con un sottile profumo che passa dal rigore Proustiano alla follia creativa di Sarah Bernhardt, l'attrice più folle, stravagante e provocatoria dell'epoca. A chiudere il cerchio sulla sfilata è la gigantesca proiezione del volto enigmatico di SOPHIE, pseudonimo di Sophie Kean, produttrice e musicista britannica che esegue una versione appositamente creata per l'occasione del suo brano più celebre It's Okay to Cry. L'aspetto no gender e impeccabile dell'artista è un'estrema sintesi del messaggio che questa moda vuole lanciare: cambiamo la stessa nozione di obsoleto, desueto, nostalgico. Troviamo un punto d'incontro contemporaneo tra snobismo e dandismo. Soprattutto facciamo le borse più belle che si possano immaginare perché di questo a dire il vero vive la moda.

DaFe

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