Medicina

Una nuova tecnica per migliorare la chiusura dentale

Una nuova tecnica di «scanning» (scansione, esplorazione) permette di analizzare con la massima precisione i problemi di occlusione dentale del paziente. Ce ne parla il dottor Silvano Tramonte, odontoiatra di Milano (www.tramonte.com), docente al corso di aggiornamento in implantologia elettrosaldata, direttore professor Stefano Fanali, Università Gabriele D’annunzio di Chieti.
«Un’occlusione difettosa provoca conseguenze negative in qualsiasi tipo di dentatura ma i pazienti più danneggiati sono quelli con gravi problemi di stabilità dei denti naturali o delle protesi, causati dalla scarsa qualità dell’osso mascellare. Quando le arcate dentali si chiudono, esse sviluppano una pressione complessiva sui denti che può arrivare fino a 400 chilogrammi. Se la chiusura avviene in modo regolare, questa pressione si distribuisce in egual misura su tutti i denti, caricando ciascuno di essi con un peso “sopportabile”. Se, invece, per un difetto di occlusione, uno o più denti entrano in contatto con i loro corrispondenti (superiori o inferiori) qualche frazione di secondo prima degli altri, essi dovranno sopportare l’intera pressione occlusale, senza poterla condividere con gli altri denti. Poiché le arcate si chiudono centinaia di volte in una giornata, si può intuire quale sia l’effetto destabilizzante e distruttivo della cosiddetta “malocclusione” sulle strutture sottostanti il dente (radice, tessuto parodontale, osso)». La nuova tecnologia per il rilevamento dei difetti occlusivi (T-Scan) si impiega in modo semplicissimo: il paziente morde una specie di scheda sulla quale è evidenziato il profilo semicircolare della arcate dentali. Questa rileva la pressione esercitata dai denti durante la chiusura. I dati rilevati vengono elaborati dal computer che fornisce la visualizzazione dettagliata della situazione del paziente.
Continua il dottor Tramonte: «Un referto diagnostico di tale precisione è molto prezioso perché consente di ripristinare la corretta distribuzione pressoria su tutti i denti delle arcate, intervenendo in maniera mirata sulle cause degli squilibri. Ne trarranno vantaggio soprattutto i pazienti con problemi di scarsa qualità ossea mandibolare o mascellare, che debbono difendere dalla minaccia di una pressione eccessiva la stabilità delle proprie strutture (si tratti di denti naturali, impianti o protesi fisse). È noto che le persone parzialmente o totalmente edentule, affette da carenza ossea, costituiscono un fenomeno di vaste dimensioni (30-40% di tutti coloro che avrebbero bisogno di riabilitare la propria bocca con impianti fissi). Il loro problema principale è identificare una tecnica implantare adatta alla particolare situazione della loro cresta ossea, che non consente la riabilitazione con l’impiego degli impianti che vengono utilizzati nella maggior parte delle procedure implantologiche, perché di dimensioni eccessive. La prima alternativa è costituita dal cosiddetto trapianto autologo, cioè il prelievo di un frammento di osso dall’anca o dalla teca cranica del paziente stesso e il suo contestuale innesto nell’area ossea da ispessire. La seconda è rappresentata da metodiche che evitano il trapianto. Basate su impianti modellabili che possono essere inseriti in spessori ossei sottili e di forme irregolari, sono meno dolorose e più efficaci sull’osso mandibolare. Una volta impiantate le protesi fisse vanno difese dai pericoli di destabilizzazione e va facilitato il processo di osteointegrazione.

Condizione essenziale è una perfetta occlusione dentale».

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