Scelti per voi

Così lo spazio plasma il "capitalismo stellare"

Per gentile concessione dell'Editore e dell'Autore, pubblichiamo un estratto del libro "Capitalismo Stellare. Come la nuova corsa allo Spazio cambia la Terra" (Rubbettino Editore, 2022) di Marcello Spagnulo, ingegnere e consigliere scientifico di "Limes"

La frontiera infinita dello spazio plasma il "capitalismo stellare"

L’origine del termine robot risale al secolo scorso, la coniò per primo nel 1920 lo scrittore ceco Karel Čapek che mise in scena al teatro nazionale di Praga la sua opera Rossumovi univerzální roboti (I robot universali di Rossum). Nella pièce, fonte d’ispirazione per molti futuri scrittori di fantascienza, Čapek immagina che un tal dottor Rossum riesce a creare su un’isola deserta i primi robot – dal termine ceco “robota” che significa “lavoro pesante” – con materia organica e forme umanoidi. Il suo fine è quello, nobile, di liberare l’umanità dalla schiavitù della fatica fisica facendo lavorare le macchine, ma gli effetti sono catastrofici. L’umanità invece di trarre giovamento affonda nell’indolenza e lascia fare tutto ai robot, finché questi ormai diffusi ovunque si ribellano e sterminano gli esseri umani.

Possiamo dire che Hollywood non ha inventato nulla se non gli effetti speciali, e deve molto a Čapek, prolifico e geniale intellettuale ceco dei primi del Novecento. Agli inizi del terzo millennio però, quel mondo immaginario sta diventando reale e nuove macchine, simbolici pronipoti di quelle costruite da Rossum, stanno davvero prendendo vita. Robot sempre più sofisticati cominciano a muoversi tra di noi e non solo nei laboratori di ricerca ma anche nei luoghi di lavoro e persino nelle strade. Per ora circolano solo sul pianeta Terra ma con tutta probabilità tra non molto viaggeranno anche nello Spazio. L’esplorazione spaziale è un tema affascinante che al pari della robotica è sempre stato uno dei pilastri della filmografia e della letteratura di fantascienza. Accanto alla finzione letteraria o cinematografica si è però aggiunta negli anni la realtà tangibile dell’astronautica, che ha permesso di vedere persone in carne e ossa vivere e lavorare nello Spazio. E così, il provare a immedesimarsi nell’esperienza extraterrestre degli astronauti che volano al di là dell’atmosfera è rimasto tanto difficile per l’uomo comune quanto fonte di accresciuta carica emotiva, proprio perché tale esperienza è di fatto diventata reale e concreta seppur per pochissimi eletti. Il senso d’ignoto profondo che questi ultimi affrontano genera entusiasmo, ammirazione e un modello d’ispirazione positiva per le giovani generazioni. E spinge alla ricerca delle risposte per le eterne domande dell’uomo, sulla sua origine e sulla destinazione finale nella vita.

Questo è esattamente ciò che vogliono trasmettere tutte le agenzie spaziali quando presentano i loro progetti di missioni nello Spazio. E i nuovi capitalisti stellari – gli imprenditori privati che si lanciano nella corsa allo Spazio del nuovo secolo - fanno esattamente lo stesso ma con modalità ancora più cinematografiche se possibile. Guardate sul web i video con i quali Elon Musk presenta il suo faraonico progetto di colonizzazione del pianeta Marte. Sono come dei film di fantascienza ma intrisi di quella tecnologia reale, cioè i razzi e le astronavi della sua SpaceX, che rafforza nella mente di chi guarda il sentimento di essere di fronte a qualcosa di concreto e ineluttabile.

Per raggiungere il pianeta rosso, l’azienda californiana sta costruendo un’enorme astronave in acciaio inossidabile, Starship, che ricorda quelle dei film di fantascienza degli anni Cinquanta. Vederla sulla rampa di lancio, imponente nel suo lucido brillare, dà l’impressione di assistere a una pellicola in bianco e nero come Destination Moon, film culto della nascente science fiction del secondo dopoguerra. Starship ha dimensioni imponenti, cinquanta metri di altezza per nove di diametro, ed è dotata di sei motori Raptor che le permetteranno di andare nello Spazio e di rientrare a Terra atterrando su zampe retrattili. Per vincere la forza di gravità del nostro pianeta, sarà montata su un gigantesco primo stadio, il Super-Heavy, alto settanta metri e spinto da trentatré motori Raptor, anche lui in grado di rientrare a terra su gambe retrattili per poter essere poi riutilizzato più volte. Una volta assemblato, il sistema di lancio Starship più Super-Heavy sarà alto 120 metri, più del mitico Saturno V delle missioni Apollo. Vedendo i video dei voli di prova e delle manovre di atterraggio che Starship ha effettuato in questi anni si ha una sensazione emozionante. È come se si stesse assistendo al principio di un percorso la cui destinazione è davanti a noi ed è tutta da scoprire. Sinora, l’astronave ha raggiunto i 10 km di altezza per poi rientrare a terra intatta, ma ora si sta preparando al primo vero volo inaugurale nello Spazio. Andando però al di là della patina emozionale e del mito della colonizzazione interplanetaria, è molto probabile che la nuova astronave non sarà usata subito per raggiungere Marte portando impavidi esploratori, quanto piuttosto per lanciare in orbita terrestre migliaia di satelliti. Oppure per fare dei “salti” orbitali portando merci o passeggeri da un punto all’altro del pianeta a velocità ipersonica.

Dal 2018, la SpaceX conduce senza sosta tantissime prove della sua nuova astronave con l’ambizioso obiettivo di raggiungere lo Spazio entro il 2023. Tutti i test dell’astronave si svolgono presso impianti di proprietà della SpaceX situati a Boca Chica, nel Texas meridionale tre miglia a nord del Rio Grande, una distesa di otto miglia di sabbia incontaminata affacciata sul golfo del Messico. E ogni volta centinaia di appassionati e di giornalisti si accampano nei paraggi per seguire i voli di prova dell’astronave.

Nel 2020 dopo un’ennesima esplosione sulla rampa di lancio, tutti i teleobiettivi dei fotografi hanno ripreso un qualcosa di assolutamente inatteso: un robot quadrupede che si muoveva con agilità tra le nuvole bianche di azoto e ispezionava i rottami fumanti del razzo con il suo muso dotato di telecamere e sensori. Si trattava di Spot, il cane robot della Boston Dynamics, che la SpaceX ha confermato di aver acquistato proprio per ispezionare i suoi razzi durante le prove, compito impossibile per un essere umano.

Elon Musk lo ha ribattezzato “Zeus” dopo averlo personalmente acquistato presso la sede dell’azienda situata nel Massachusetts non lontano dal MIT presso i cui laboratori sono state sviluppate le tecnologie robotiche a bilanciamento dinamico usate dalla società stessa.

Commenti