Guerra Libia

Obama sceglie la linea dura: Gheddafi se ne vada

Due navi da guerra sono già al largo di Tripoli e il presidente Usa chiarisce che "se la situazione peggiora l’opzione militare è sul tavolo". Il Tribunale internazionale dell’Aia apre un’inchiesta sul Colonnello per crimini contro l’umanità

Obama sceglie la linea dura: Gheddafi se ne vada

Navi americane a 50 miglia dalla città di Tripoli mentre il presidente Barack Obama ripe­te che «Gheddafi deve andarse­ne », inchiesta formale del Tribu­nale internazionale dell’Aia per crimini di guerra contro il Colon­nello, tre suoi figli e altri dirigen­ti del regime di Tripoli, blocco dei beni della famiglia del raìs e di venti suoi alti collaboratori de­ciso dall’Ue operativo da ieri: la morsa internazionale sul regi­me che da quasi 42 anni coman­da in Libia si sta stringendo. La Nato, pur affermando per bocca del suo segretario generale An­ders Fogh Rasmussen che nes­sun intervento è previsto, si tie­ne «pronta per qualsiasi eve­nienza». Concetto volutamente vago, anche perché i generali americani hanno fatto capire che l’impegno per imporre una zona di non volo in Libia potreb­be essere pesante anche econo­micamente per un Paese che, pur militarmente strapotente, ha già due fronti aperti in Afgha­nistan e in Irak: e qui di fatto si tratterebbe di aprirne un terzo, attaccando la Libia.

Non sono solo gli Stati Uniti a frenare rispetto all’ipotesi di no­fly- zones. Anche Francia e Rus­sia esprimono riserve. La Tur­chia, membro della Nato, è aper­tamente contraria. Soprattutto si oppone la Cina, che è presi­dente di turno del Consiglio di sicurezza dell’Onu e ha già chia­rito che la crisi libica va risolta «solo con mezzi pacifici». In que­ste condizioni il sì del Consiglio di sicurezza, premessa indispen­sabile per eventuali azioni di for­za in Libia, appare improbabile. Ieri sera, però, Obama ha alzato la voce con Gheddafi. «Ha perso ogni legittimità», ha detto il pre­sidente americano, e «deve an­darsene ». Sull’operazione mili­tare «decideremo quel che è me­glio per i libici» e «voglio avere capacità totale d’intervento an­che militare se la situazione peg­giorasse». Per questo sono giun­te al largo di Tripoli due navi da guerra con a bordo 2000 mari­nes, 42 elicotteri, mezzi da sbar­co e personale medico. Intanto Obama ha autorizzato l’uso di aerei da trasporto militari per ri­portare in patria i profughi egi­ziani.

In questa fase che vede Ghed­dafi aggrappato al potere e alle posizioni che ancora controlla, si parla anche della proposta ve­nezuelana di mediazione tra i due contrapposti fronti libici. Il raìs di Tripoli vede di buon oc­chio questa offerta: il caudillo Hugo Chavez è un convinto so­stenitore di Gheddafi. La Lega Araba conferma di avere questa opzione «allo studio», ma poi­ché l’opposizione libica è con­traria è pressoché certo che non se ne farà niente. Intanto sul piano militare la giornata di ieri ha fatto registra­re una minore intensità degli scontri. Le forze fedeli a Ghedda­fi hanno sferrato un nuovo raid aereo e terrestre su Brega, il ter­minal petrolifero sulla costa a sud-ovest di Bengasi che il figlio del raìs Seif el-Islam ha definito «importante per noi quanto Rot­terdam lo è per l’Olanda»: l’at­tacco è stato respinto e dieci sol­dati sarebbero stati catturati dai ribelli. Un cittadino britannico di origine libica è rimasto ucciso nei bombardamenti. Le forze gheddafiane si sono poi ritirate verso Ras Lanuf, altro importan­te terminal petrolifero sul golfo della Sirte. Sul confine libico-tunisino continua l’operazione umanita­ria internazionale destinata a evacuare decine di migliaia di persone rimaste intrappolate in Libia. Sono soprattutto lavorato­ri stranieri di nazionalità egizia­na, pakistana, indiana e filippi­na. Il governo italiano ha dato il via libera alla missione umanita­ria in Tunisia, mentre una mis­sione civile partirà alla volta di Bengasi e Misurata. Quanto al tribunale dell’Aia, è stato reso noto che Gheddafi e altri esponenti del regime sono indagati per crimini contro l’umanità e che l’incriminazio­ne dovrebbe arrivare nel giro di «pochi mesi». Teoricamente il Colonnello, alcuni suoi figli e la cerchia più ristretta del suo regi­m­e rischiano fino a 30 anni di pri­gione e, se l’«estrema gravità» del caso lo giustificasse, l’erga­stolo. Ma nella pratica potrebbe finire come nel caso del dittato­re sudanese Omar el-Bashir, che dovrebbe essere processato all’Aia ma che non è mai stato catturato.

Ammesso e non con­cesso che Gheddafi si lasci mai prendere vivo dai suoi nemici.

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