Cultura e Spettacoli

Oggi inizia la Mostra di Venezia

A una cosa serve la rassegna di Venezia: capire le pellicole da evitare. Come "Lebanon", ultimo e barbosissimo Leone d’Oro o "Il ritorno", lungometraggio russo da svenimento. La critica li esalta ma al botteghino non fanno incassi da record, anzi. Per la sinistra "impegnata" il cinema italiano è in crisi solo se governa Berlusconi

Oggi inizia la Mostra di Venezia

Che peccato. Alla Mostra che si apre oggi al Lido ci sono solo due film cinesi. In compenso ce n’è uno russo, uno cileno-messicano-tedesco e uno greco, tutti ovviamente in lotta per il Leone d’oro. Senza scordare i due giapponesi e il pezzo forte, un film prodotto da Polonia, Norvegia, Ungheria e Irlanda. Insomma sarà un gran bel festival. Come sempre del resto. I titoli non sono tutto, ma a scorrerli, viene l’acquolina. Roba da leccarsi i baffi, operazione per la quale critici e invitati d’onore sono imbattibili, specie davanti ai buffet. Ascoltate che sinfonia: Jûsan-nin no shikaku oppure Di Renjie zhi Tongtian diguo, o ancora Balada Triste de Trompeta. Purtroppo i fiscali traduttori dei titoli potrebbero snaturarne la poesia, rischiando di ridurre a drappelli le legioni già idealmente in fila al botteghino.

Ecco, il botteghino. Non bisogna preoccuparsi se le pellicole veneziane non faranno incassi record, ahinoi, occorre tempo per erudire il popolo bue. Che si ostina a preferire le rozze americanate piene di plebea suspense con Tom Cruise e Brad Pitt, dove qualcuno osa perfino saltare sulla potrona per l’eccitazione, alle delicate opere asiatiche o africane, piene di soavi silenzi, oltre che di profondi messaggi. La Mostra compie oggi settantotto anni, vedrete che quella del bicecentenario, nel 2132, sarà un trionfo globale.
Per chi non è propriamente un addetto ai lavori, va ricordato che i film in concorso sono ventiquattro, a cui il 6 settembre se ne aggiungerà uno a sorpresa. Sperare non costa nulla, ma è difficile che sia un altro cinese. Ah, se almeno fosse un indiano o un congolese. Chissà. Accanto alla sezione principale, ci sono fior di alternative per la goduria degli appassionati. Occhio però, a voi che entrate, tra tanti titoli potrebbe scapparci anche qualche film decente, sfuggito alle maglie dei distratti selezionatori.

Dunque, ecco la rassegna, battezzata con esemplare sforzo di fantasia, Fuori concorso (dove si annidano parecchi grandi, come Bellocchio, Salvatores, Placido e Tornatore), quindi Orizzonti e Controcampo italiano, per un totale di sessantaquattro opere. Non basta. Ci sono anche le Giornate degli autori, ricche di venticinque titoli, e La Settimana internazionale della critica, spremuta nell’involontariamente umoristico acronimo Sic, che ne ha messi insieme nove. Per finire La situazione comica, una sfrontata retrospettiva sulla commedia all’italiana, con trentuno film, che con la Mostra non c’entrano proprio un beneamato fico: sono tutti fastidiosamente divertenti.

Non manca la tradizionale invasione dei cosiddetti corti. Alcuni dei quali, pur durando pochi minuti, anche meno di dieci, riescono miracolosamente a far sbadigliare come i più sofferti lungometraggi di Antonioni. Potrebbe essere il caso di The Accordion, l’eccitante storia del furto di una fisarmonica, diretto dal venerato maestro iraniano Jafar Panahi, il regista arrestato in marzo per aver manifestato contro il regime e poi incautamente liberato in giugno. Ah, se anche i magistrati di Teheran ogni tanto andassero al cinema...

La Mostra, come è intuibile, e come il gossip conferma, non è solo cinema. C’è anche l’indotto, ottimo e abbondante, che si materializza in cene, cocktail, feste, dove primeggiano gli infiltrati speciali, dai sarti più o meno celebrati alle bambole di ogni misura in cerca di una qualsiasi comparsata, perfino in gondola. I notiziari sono pronti a farci fare indigestione di curiosità e primizie, Marzullo e Blob sono in allerta. Pare di sentirlo l’incantato Vincenzo Mollica miagolare dal Tg1: Osyanki del russo Alekesei Fedorchenko, ambientato fra una tribù ugrofinnica del lago Nero, è un capolavoro.

Che sollazzo, ancora poche ore e si parte. I più accaniti potranno deliziarsi con otto, dieci, e perché no, dodici ore di proiezioni quotidiane. Mentre chi è costretto a starsene a casa si accontenterà di prendere accuratamente nota delle critiche più favorevoli. Così saprà quali film evitare. Altrimenti gli toccherà sorbirsi agghiaccianti ciofeche come certi Leoni d’oro d’un recente passato, tipo il barbosissimo israeliano Lebanon dell’anno scorso, il russo da svenimento Il ritorno del 2003 e il micidiale iraniano, vincitore nel 2000, Il cerchio.

Un titolo a cui sarebbe calzata a pennello una seconda parte: alla testa.

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