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Olmert: il «muro» sarà la frontiera di Israele

L’Ue ipotizza di dimezzare gli aiuti all’Anp se il partito degli integralisti non cambierà obiettivi

Roberto Fabbri

Giorno dopo giorno il progetto per il futuro di Israele di Ehud Olmert, erede politico del settantottenne Ariel Sharon in coma ormai palesemente irreversibile, prende forma. Ed è la forma di un Paese dai confini ridisegnati a titolo definitivo dal controverso «muro», la barriera di separazione dalla Cisgiordania palestinese che secondo il leader del partito Kadima si trasformerà direttamente nella futura frontiera. Al massimo con qualche piccolo aggiustamento qua e là, ma comunque privilegiando una scelta che si presta a molte critiche: quella di agire unilateralmente, ignorando la scontata - e certamente accesa - contrarietà dei palestinesi.
Già giovedì Olmert aveva anticipato alla stampa del suo Paese le linee del piano. Annessione al territorio israeliano di tre importanti colonie ebraiche costruite in Cisgiordania (Ariel, Gush Etzion e Maaleh Adumim), costruzione nella cosiddetta Area E-1 (territorio cisgiordano compreso tra Gerusalemme e Maaleh Adumim) di 3500 nuovi appartamenti «per garantire la contiguità del controllo del territorio», e mantenimento del «confine di sicurezza nella valle del Giordano». Ce n’era già abbastanza per far gridare i palestinesi (e non solo loro) al tradimento dello spirito e della lettera della Road Map. Adesso si aggiunge il nuovo elemento della trasformazione del «muro» (che è costruito quasi integralmente su suolo non israeliano) in una frontiera definitiva.
Olmert non esclude a priori l’ipotesi di un accordo con i palestinesi, che supererebbe l’ipotesi dell’azione unilaterale, ma chiaramente non crede nella possibilità di negoziare la questione dei confini con un esecutivo guidato da Hamas, ossia la stessa organizzazione che ha insanguinato Israele negli ultimi dieci anni con i suoi attentati contro la popolazione civile. Il numero uno di Kadima, favorito nei sondaggi per le elezioni del 28 marzo, punta a una sistemazione definitiva e a suo modo di vedere pragmatica della questione territoriale: fare sì che entro quattro anni una linea di confine certa (oggi la «linea verde» che separa Israele dai territori occupati nel 1967 ha ancora le caratteristiche della provvisorietà) divida lo Stato ebraico da quello palestinese.
Olmert spiega che suo obiettivo è fare in modo che al di qua del confine sia garantita una solida maggioranza etnica ebraica, mentre al di là - nel futuro Stato palestinese - di ebrei non dovranno essercene più. Gli oltre 200mila coloni attualmente sparpagliati in tutta la Cisgiordania dovranno radunarsi al di qua della barriera. Così facendo, promette il premier, «non saremo più ostaggi dei terroristi e Israele sarà un Paese dove sarà divertente vivere».
Non è però difficile immaginare gli ostacoli che un simile progetto rischia di incontrare. In primo luogo da parte dei coloni, che sono in maggioranza accesi nazionalisti e oltranzisti religiosi infatuati dell’idea biblica del Grande Israele, quindi certamente maldisposti all’idea di andarsene pacificamente. In secondo luogo a livello internazionale: basti pensare che gli stessi alleati americani sono contrari alla pretesa israeliana di annettere terre palestinesi. Infine, ovviamente e soprattutto, da parte dei palestinesi medesimi: ieri il negoziatore Saeb Erekat, un uomo di Arafat con fama di moderato, ha detto che «Olmert non può fissare i nostri confini e non può ottenere pace e sicurezza con un muro per separare i palestinesi». Molto più duro il commento di Khaled Meshaal, il leader di Hamas che dal suo rifugio in Siria parla di «dichiarazione di guerra ai palestinesi» e di «disimpegno unilaterale di Israele sulla base dei suoi interessi».
E mentre il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz ha ordinato la chiusura dei confini con Gaza e Cisgiordania per impedire atti di terrorismo durante la festa ebraica di Purim, le Brigate dei martiri di Al-Aqsa (braccio armato di Al Fatah) hanno annunciato di voler lanciare da Gaza duecento razzi Kassam su Israele «in onore dei martiri dell’intifada».
Continua infine a Salisburgo la discussione tra i ministri degli Esteri dei 25 Paesi dell’Ue sugli aiuti all’Anp. Un documento preparato dal Commissario Ferrero-Waldner e dall’Alto rappresentante per la politica estera Solana ipotizza un taglio del 50 per cento se Hamas non riconoscerà Israele e non rinuncerà alla violenza.

Il dibattito prosegue.

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