Cultura e Spettacoli

Onfray, un banale edonista

Si richiama ai "maestri del sospetto" Marx, Nietzsche e Freud. Ma i suoi giudizi sono superficiali e l’argomentare è piatto. Nel suo ultimo libro Politica del ribelle il pensatore ex operaio tenta di conciliare culto del piacere e anarchismo

Onfray, un banale edonista

Quando Michel Onfray s’impose col Trattato di ateologia (Fazi), non era uno sconosciuto. Il libro offriva a chi ama «crudeli certezze da adulti», più che «consolanti finzioni da bambini», il «risanamento mentale» dell’ateismo. La sua critica dei monoteismi era radicale.

Li vedeva tutti animati dalla stessa «pulsione di morte»: «Pensano la città terrestre solo nella prospettiva della città celeste», odiano il mondo, il corpo, il piacere e le donne. Denunciando l’«invenzione ebraica della guerra santa», l’«antisemitismo cristiano» e il «gusto musulmano per il sangue», Onfray diceva che l’esistenza di Gesù era reale come quella dello Zarathustra nicciano e che l’esistenza concettuale era dovuta a Paolo di Tarso, «ebreo isterico e integralista». Per Onfray, la nostra epoca - scristianizzata in apparenza - resta intrisa di «valori giudeo-cristiani» secolarizzati. Il suo ateismo non s’ispira al positivismo scientista e si distingue nettamente da quello di Richard Dawkins. Onfray è per un «ateismo non cristiano», cioè non iscritto in negativo nelle categorie cristiane, ma che si fondi sull’«arte di vivere», sull’«etica solare e sovrana» estranea non solo ai dogmi, ma a ogni forma d’alienazione. Elogiando irrispetto, impertinenza, insubordinazione, Onfray auspica l’ateismo «ribelle e disobbediente».

Padre bracciante, madre cameriera, nato nel 1959, Onfray ha lavorato in fabbrica per poter studiare. Professore di filosofia in un liceo di Caen (Normandia), presto coltivò idee libertarie. Dirà: «Avevo capito che all’Università non si pensava, ma si riproduceva il sistema sociale». Nel 2001 l’Antimanuel de philosophie sintetizzerà con ironia diciannove anni di lezioni liceali. Rifiutando l’insegnamento scolastico della filosofia (per lui la «storia ufficiale» della filosofia non insegna a filosofare), si dimetterà nel 2002 per fondare, sempre a Caen, un’«Università popolare», aperta a tutti, dove insegnare «contro-storia» della filosofia. La formula avrà successo (riunisce regolarmente centinaia di persone, per lo più dei ceti medi) e susciterà analoghe iniziative altrove. In Francia i suoi corsi passeranno anche alla radio.

Ma il successo del Trattato di ateologia non faccia credere che Onfray sia per eccellenza il teorico dell’ateismo. Al centro del suo lavoro c’è il concetto di edonismo; l’ateismo ne è una conseguenza. Basata principalmente sulla filosofia greca (Diogene ed Epicuro), ma anche sui fratelli del Libero Pensiero medievali, sugli autori libertini del XVII secolo, sui materialisti del XVIII e del XIX (Helvétius, d’Holbach, La Mettrie, Feuerbach), la sua teoria dell’edonismo vuole celebrare la vita, l’autonomia e la legittimità del pensiero. Mira a riconciliare l’uomo col corpo, come «macchina sensuale», costruendo una nuova etica fondata su un’estetica. Onfray vuole stabilire un’aritmetica del piacere, basata sulla libertà amorosa, ma soprattutto su un tipo di presenza «gioiosa» nel mondo, ispirata al carpe diem di Orazio, per «restaurare un rapporto solare fra individui», dove «solare è tutto ciò che è libertario».

Quest’edonismo si vuole globale: insieme teorico e pratico, rimette il corpo al centro della percezione e della visione del mondo. Dà spazio all’«hapax esistenziale», come Onfray chiama l’evento che càpita una volta nella vita, ma l’orienta su un sentiero originale e personale (come la caduta da cavallo di Montaigne, che gli rivelò la fragile materialità del suo essere e l’unità di corpo e anima).

Onfray ha pubblicato una trentina di libri, richiamandosi al «materialismo sensualista», al «libertinaggio solare», all’«utilitarismo dionisiaco», all’«individualismo libertario», alla «filosofia artistica», al «niccianesimo di sinistra» e alla «soggettività pagana». L’ansia di fondare una nuova etica gli ha ispirato due libri del 1993: Cynismes. Portrait du philosophe en chien e La scultura di sé (Fazi). Sull’erotismo ha pubblicato Teoria del corpo amoroso (Fazi), dove echeggia Wilhelm Reich. Ha anche celebrato i sensi, partendo da vista, olfatto e gusto (Critique de la raison diététique, 1989; L’œil nomade, 1993; La raison gourmande, 1995; Splendeur de la catastrophe, 2002; Les icônes païennes, 2003). Si possono citare poi L’invention du plaisir (2002); Esthétique du Pôle Nord (2002), La philosophie féroce (2004) e La puissance d’exister (2006). È poi l’autore dal 1996 del Journal hédoniste, di cui sono usciti quattro volumi.

Onfray s’è del resto applicato a formulare politicamente le sue idee, specie in La politica del ribelle. Trattato di resistenza e insubordinazione, l’ultimo suo libro pubblicato in Italia, da Fazi. Definendosi «empio e ateo in materia politica», s’è impegnato, senza appartenere a nessun partito, ma dandosi per scopo di conciliare l’edonismo etico e l’anarchismo politico. Nell’ultima campagna presidenziale francese, si pronunciò per l’altermondialista José Bové, poi invitò a votare per Olivier Besancenot della Ligue communiste révolutionnaire, scatenando polemiche a sinistra.

Onfray si richiama essenzialmente all’eredità dei tre grandi «maestri del sospetto»: Freud, Marx e Nietzsche. Da Marx trae soprattutto il condizionamento delle sovrastrutture, opera dell’infrastruttura economica, da cui deriva la «falsa coscienza». Da Freud un apparato concettuale che permette l’analisi delle pulsioni profonde della società. L’influenza più determinante su di lui è però di Nietzsche, come appare ne La sagesse tragique (2006). La critica del cristianesimo (e d’ogni grande religione della salvezza universale) di Onfray è infatti d’ispirazione tipicamente nicciana. Nietzsche diceva che «il concetto di “Dio” è stato inventato come antitesi della vita». Onfray riprende la stessa idea, elogiando la «grande salute», auspicando un «grande sì alla vitalità», considerando la religione una «castrazione delle energie»: «Le religioni monoteiste comunicano in una stessa fede: la vita sulla terra è finzione, conta solo il retromondo \. Intolleranti, gelosi, esclusivi, arroganti, sicuri di loro e dominatori, i monoteismi s’erigono in legge per gli altri \. I cristiani paiono più dotati per il risentimento e l’odio che per l’amore del prossimo \. Fondamentalmente, i tre monoteismi detestano donne, desideri, pulsioni, passioni, sensualità e libertà, ogni libertà». Di Onfray è anche la biografia Georges Palante (1989), che con Georges Bataille era fra i primi nicciani di sinistra.

L’opera di Onfray ha aspetti simpatici. Talora si può rimproverarle l’argomentare un po’ piatto, il procedere spesso fra amalgama discutibili e giudizi superficialissimi. In politica Onfray s’atteggia a «ribelle», ma riprende per lo più temi dell’ideologia dominante. Le sue teorie sull’erotismo non innovano quelle di tanti predecessori. Il suo violento ateismo (che gli è valso l’accusa di «rendere diabolico» l’Islam) non è certo sottile: per lui le religioni sono solo «strumenti di dominio».

L’idea che «liberare il desiderio» vanificherebbe obblighi sociali e istituzioni è poi di un ottimismo molto ingenuo.
(Traduzione di Maurizio Cabona)

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