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"Ormai ci dobbiamo rassegnare È diventata una squadra normale"

La sentenza è della «signora delle Olimpiadi» Evelina Christillin. «Conseguenze su Torino? No, non è mai stata così viva». C’è una vera frattura fra la nuova dirigenza e i tifosi

"Ormai ci dobbiamo rassegnare È diventata una squadra normale"

Torino - «O lui o me». Dai, non è possibile che tutto questo can can sia il frutto di un duello seppur rusticano tra Didier Deschamps e Alessio Secco, l’uno allenatore dimissionario, l’altro direttore sportivo fatto in casa dalla crescita ipertrofica e quindi ingombrante. «O lui o me» è l’ultimatum che costò il posto ad Arrigo Sacchi quando «impose» a Berlusconi di scegliere tra lui e Van Basten. Ma quella era una questione tecnica; qui no.
Qui siamo alla Juventus. Nell’anno Zero. O se volete del meno 30, poi meno 17, poi meno 9. Comunque, meno. E allora se a serie A conquistata e proprio alla vigilia della festa scoppia il putiferio perché l’allenatore decide di andarsene dopo che per tutto l’anno i dirigenti hanno srotolato un rosario di assicurazioni sul futuro, deve esserci qualcosa sotto. «Dopo la promozione, sembrava che la cosa più difficile fosse trattenere Buffon. E invece... Non so che cosa si voglia di più da Deschamps»: nemmeno Evelina Christillin, signora delle Olimpiadi, bianconera nel sangue capisce granché di questo ribaltone. «La verità è che ci dobbiamo rassegnare, la Juventus è diventata una squadra normale. Non è più quel sancta sanctorum di prima, e forse è meglio così. Gli errori oggi si fanno in buona fede e non più per arroganza. Conseguenze sulla città? Torino non è mai stata così viva, il calcio per fortuna non è tutto».
Quelli che della Juve continuano a sentire anche gli spifferi dicono che la fine era nota. Sarà, ma questa crepa non era prevista. Giampiero Boniperti, presidente onorario, preferisce starsene fuori: «Non mi coinvolga, le mie parole possono essere strumentalizzate». Eppure, proprio lui, nell’ultima assemblea dei soci aveva tuonato: «Ci è andata bene. Ora voltiamo pagina». E si che a metà di una stagione ingombrante una luce aveva illuminato la buia notte torinese: l’aumento di capitale. 104,8 milioni sottoscritti per il 60 per cento dall’Ifil e il resto nelle mani degli altri azionisti, tra cui resiste Antonio Giraudo, uomo della Triade (con Moggi e Bettega) detentore del 2 per cento. Cifra, i 104 milioni, da riempirci i titoli di giornali, ma da gestire col bilancino sul mercato. L’uomo del monte è Carlo Sant’Albano, amministratore delegato della cassaforte Ifil, laureato ad Harvard e tifoso bianconero: lui apre e chiude i rubinetti della cassaforte. Lui ha delegato la gestione della società a Jean-Claude Blanc, 44 anni, savoiardo di Chambery, chiamato nel cda bianconero nel maggio 2005 da John Elkann, al secolo nipote dell’Avvocato. Blanc, «l’uomo del Rinascimento» come l’ha definito l’Équipe, ha scelto Deschamps, l’ha difeso sotto la tempesta e l’ha confermato almeno un migliaio di volte: «Didier farà parte del nostro progetto». L’ha giurato e spergiurato. Con lui, basco di Bayonne, che si stupiva dello stupore altrui: «Per me non è una notizia, c’è un accordo fino al 2008». Parole. Più la promozione si avvicinava, più la forbice tra i due si apriva pericolosamente. Cobolli Gigli, il presidente («sono incazzato nero» la frase storica dopo il meno 30) mai entrato in sintonia con la curva forse perché così per bene da ammettere che gli scudetti bianconeri sono 25 e non 27, e Blanc dicevano bianco, Deschamps rispondeva nero. «Scudetto possibile già nel 2008»; «Utopia». Intanto il basco chiedeva Gerrard e De Rossi, due che per prenderli ora devi vendere la Mole e il museo Egizio. Distonie sul mercato. E qui entra in ballo Alessio Secco, l’enfant du pays allevato da Luciano Moggi, ma anche uomo di Capello che, si dice, chiese la sua promozione per restare sulla panchina bianconera. Quando la valanga di calciopoli era solo una palla di neve. Con la Juve travolta Capello fece le valigie, Secco rimase. E cominciò a lavorare sul mercato. Affiancato da Roberto Bettega, punta di riserva della Triade e per questo uscito neanche troppo malconcio da Calciopoli tanto da rientrare nella Juve dalla porta di servizio. E da essere presente, con Cobolli, Blanc, Secco e Deschamps all’incontro di ieri mattina nella sede di corso Galileo Ferraris. Deschamps le dimissioni le aveva date mercoledì: divergenze di mercato e questo contratto che non si vuole allungare. Per due giorni hanno recitato a soggetto: tutti. Blanc ha chiesto e ottenuto ieri sera il nero su bianco, non fosse che per un problema di stipendio (650mila euro) da non pagare più ma anche l’ex direttore generale della federtennis francese, esce indebolito da questo braccio di ferro. Deschamps l’ha voluto lui, non essere riuscito a coinvolgerlo e a soddisfarlo sa di mezza sconfitta. Arringa Guido Crosetto, deputato cuneese di Forza Italia e co-fondatore dello Juventus club Montecitorio: «Serve il vecchio stile, questi dirigenti non hanno passione. Blanc non sa nulla di calcio. Se proprio devono dare la squadra ad un amministratore, allora la diano a Marchionne – l’ad della Fiat – che almeno sa come far quadrare i conti. Il presidente deve essere uno della famiglia Agnelli». Già, la Famiglia. I tifosi stanno tutti con Deschamps e dicono che il capo della curva sia grande amico di Lapo Elkann, ieri in tribuna all’Olimpico: quindi Lapo sta con Deschamps. Ma il nipote dell’Avvocato insiste: caduto il muro costruito dalla Triade e ricostruito almeno il presente su quelle macerie, il più sembrava fatto. Invece tornare alla normalità sembra più difficile che convincere Buffon a restare.

O forse, questa è la normalità.

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