Investimenti stellari

"La cultura del buon cibo...". Il pluristellato chef Bartolini smentisce Lula

Chef più stellato d'Italia e secondo al mondo. Enrico Bartolini ha raccontato ilGiornale.it il proprio approccio alla cucina. "Giusto proteggere il nostro patrimonio culinario. La nostra biodiversità ci rende unici"

"La cultura del buon cibo...". Il pluristellato chef Bartolini smentisce Lula

Dodici stelle Michelin in totale, di cui quattro arrivate in un colpo solo. En plein. Chef più stellato d'Italia e secondo al mondo. Enrico Bartolini ha conquistato riconoscimenti che lo hanno già proiettato, a soli quarantatré anni, nel pantheon dei cuochi internazionali. Il che, significa una sola cosa: quando si parla di alta cucina, la sua fama ormai lo precede meritatamente. Lui però non sembra affatto essersi montato la testa. "Alla fine si fa da mangiare...", ricorda con un sorriso a chi lo blandisce oltremodo, tradendo il suo pragmatismo (e il suo accento) toscano. Certo, ogni portata che esce dalla sua cucina è qualcosa di più di una semplice pietanza: quel piatto ha una sua storia e racconta qualcosa. Abbiamo incontrato Bartolini a Milano, città che ospita un suo ristorante annoverato di recente tra i 100 migliori al mondo.

Chef, questo ulteriore riconoscimento si aggiunge alle dodici stelle Michelin e al suo primato italiano. Che effetto fa?

"È un grande orgoglio e un'indicazione di prestigio che condivido con tutta la mia squadra. Le classifiche e i riconoscimenti, quando arrivano, sono uno stimolo e rappresentano una foto scattata in quel momento. Dal giorno dopo, però, bisogna scattarne già un'altra. Quindi bisogna consolidarsi, rinnovarsi quotidianamente e seguire dei valori. I nostri solo il territorio e il talento. Il primo ci dà gli ingredienti, la cultura e le abitudini. Il secondo sta nelle persone con cui lavoriamo e con le quali condividiamo un messaggio".

Quando si arriva a questi livelli di eccellenza, cosa si può desiderare ancora?

"La qualità di vita per tutti, che è proporzionata e in equilibrio con la capacità creativa di raccogliere le sfumature della parte emotiva. Le emozioni non si catturano con il lavoro, l'organizzazione e il denaro, ma vanno tirate fuori e condivise con gli ospiti in modo così forte essi stessi le provino. L'insieme di queste energie dà il piacere di fare questo mestiere, che è il concetto da me più citato ultimamente. Infatti si parla molto del mondo del lavoro, ma spesso si mettono da parte l'artigianalità e il mestiere, trascurandone i veri valori".

Per capacità artigianale noi italiani abbiamo una marcia in più o ritenerlo è campanilismo?

"No, ce l'abbiamo davvero perché ci è riconosciuto da tutto il mondo. Ma la cosa che abbiamo ancor più di altri è la biodiversità. Nei Paesi in cui c'è l'attitudine artigianale di manodopera ma manca la biodiversità, c'è un elemento in meno. Questo nostro valore dobbiamo però condurlo al meglio, sennò alla fine impreziosisce gli altri. Non è mai giusto piangersi addosso, ma so che in questo possiamo fare di più".

Quali sono le caratteristiche distintive di uno chef stellato?

"Gli stellati, come tutte le persone, sono diversi tra loro ma hanno anche delle caratteristiche che li accomunano. Quando si appartiene a una categoria, ognuno di noi la rappresenta in ogni occasione e in ogni gesto. Se ci son ristoranti che danno poco da mangiare oppure che si comportano meno bene nel gusto o nel palato, non rappresentano quella categoria. Ma non conosco casi drammatici al riguardo".

Il presidente brasiliano Lula si è recentemente detto deluso dai pranzi al Quirinale e all'Eliseo. "Si mangia poco", ha detto...

"Si tratta di contesti molto particolari. Io so che al Quirinale si mangia bene, ci sono delle procedure di servizio e di sicurezza molto complicate. Non è un luogo dove gli chef vanno quotidianamente a misurarsi con la creatività; si offre piuttosto un servizio agli ospiti che sono lì per fare altro. Una cosa è certa: in tutto il mondo, fatta eccezione per i Paesi più poveri, si fanno tre pasti al giorno più due merende e quindi, per bisogno, la cucina ci unisce in un gesto universale. Noi italiani, però, abbiamo la fortuna di non avere solo la nutrizione ma coltiviamo la cultura del buon cibo e quindi diamo un valore aggiunto da sempre. La nostra cucina continua a essere leader a livello mondiale per la sua qualità".

La passione per la cucina da chi l'ha ereditata?

"Innanzitutto dal mio paese e dalle cose che lì mi hanno circondato. Vedevo l'orto, il pollaio, ma anche le botteghe dove si tagliavano i salumi al coltello e dove il formaggio era custodito il tempo giusto per essere apprezzato. Ho avuto la fortuna di vivere quegli anni '80, con il profumo dei salumi e della focaccia calda quando si entrava nella bottega. Questi valori li ho impreziositi poi con esperienze fatte fuori. E poi ho inziato a cucinare perché mia madre ai fornelli era un disastro, a differenza delle nonne e delle zie. Così ho avuto voglia di essere autonomo... (sorride, ndr)".

C'è un piatto che ancora la emoziona preparare?

"Ogni ingrediente bello e buono, sia bollito sia crudo, rappresenta per me uno stimolo per una grande ricetta".

Il prossimo 5 settembre, a Parma, lei sarà tra gli chef della prestigiosa "Cena dei mille", dedicata proprio alle eccellenze enogastronomiche locali. Cosa si aspetta da un'occasione così particolare?

"Di trovare persone e colleghi che, in un ristorante a cielo aperto nel cuore di Parma, condividono un messaggio culturale. E cioè, innanzitutto, la condivisione della tavola attraverso un buon servizio. Parma è diventata così ricca dal punto di vista enogastronomico grazie alla propria storia e alle persone che l'hanno condotta, a partire dai tempi nobiliari in cui sembra che alcune maestranze dall'estero avessero insegnato qualcosa ai parmensi. Questi ultimi hanno saputo catturare qualche elemento e poi lo hannno valorizzato. Ora l'industria e i consorzi fanno un grande lavoro nel mondo, rendendo Parma una destinazione interessante e anche di interesse economico".

Oggi si parla spesso di novel food e di nuove mode alimentari. È giusto tutelare il made in Italy o ha ragione chi ci dice di aprirci alle nuove tendenze?

"È giusto essere gelosi del nostro patrimonio, è giusto proteggerlo. Stiamo pagando qualche erroruccio fatto in passato, ma gli errori servono oggi a fare meglio. Non credo ci siano treni che stiamo perdendo, però spesso ci sono indivualismi che non aiutano. La cosa a cui prestare attenzione è che oggi i canali della grande distribuzione organizzata frammentano un po' l'artigianalità del singolo contadino o produttore. Le botteghe sono sparite e sono arrivati i centri commerciali, e pure i piccoli ristoranti a conduzione familiare sono sempre meno, mentre le catene hanno una miglior organizzazione. Io non so in che direzione andremo ancora, ma voglio dare il mio contributo".

Come?

"Facendo sì che nel piatto arrivino dei buoni valori etici.

E che il palato non muoia, ma anzi sia sempre stimolato a restistere a lungo".

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