Cultura e Spettacoli

«Dopo Ozpetek e Faenza cambio musica e vado a Hollywood»

Parla Andrea Guerra, l’autore di colonne sonore più gettonato d’Italia

Michele Anselmi

da Roma

Anche per lui, come per il famoso padre sceneggiatore Tonino Guerra tardivamente approdato alla pubblicità in qualità di testimonial, «l’ottimismo è il profumo della vita». Sorride e sparge buon umore Andrea Guerra, classe 1961, da Sant’Arcangelo di Romagna, moglie inglese giornalista con fisico da pin-up. E ne ha motivo: nel giro di tre-quattro anni è diventato il compositore di colonne sonore più gettonato d’Italia. Più di Ennio Morricone, di Nicola Piovani, di Luis Bacalov. Qualche titolo tra gli oltre quaranta? Prendimi l’anima e Alla luce del sole di Roberto Faenza, Che ne sarà di noi di Giovanni Veronesi, La leggenda di Al, John & Jack e Tu la conosci Claudia? di Aldo, Giovani e Giacomo, Angela di Roberta Torre, soprattutto il trittico di Ferzan Ozpetek, cioè Le fate ignoranti, La finestra di fronte e Cuore sacro. Un exploit che l’ha proiettato in America, nominated per i prestigiosi Golden Globe nella categoria canzoni grazie a Million voices, dalla colonna sonora di Hotel Rwanda. E non è finita. Non avrà vinto il Globo d’oro, ma quei giorni a Los Angeles gli hanno portato in regalo un contratto con la Sony per un filmone hollywoodiano di cui tace attore e regista «notissimi».
Perché tanta segretezza, Guerra?
«Perché sto per firmare il contratto. È una storia di quelle che confezionano loro: dal povero al ricco. In compenso ho già trovato un manager, un avvocato e un commercialista: senza, non fai niente a Hollywood».
Il budget promesso?
«L’equivalente di un intero film italiano di costo medio alto».
Ma lei conosce la lingua?
«Sto prendendo ripetizioni».
Il suo consigliere?
«Pino Donaggio, ha lavorato con De Palma. Gli ho chiesto: Cosa devo fare? Mi ha risposto: Quello che sai fare. Obbedisco».
Tutto questo successo (David di Donatello, Ciak d’oro, candidature prestigiose, ingaggi miliardari) non le darà alla testa?
«Sono romagnolo, non mi faccio incantare. Ma certo vivo meglio».
Immagino che rispetto al suo primo film, Viaggio d’amore con Omar Sharif e Lea Massari, 1990, il suo compenso sarà decuplicato. Una vocina mi ha detto che una colonna sonora firmata da lei oggi costa 80mila euro...
«Non parlo di soldi. E comunque quello non fu il mio esordio. Prima venne Manhattan Gigolò di Massimo Pirri. All’epoca scrivevo musica per documentari subacquei alla Cousteau. Una goduria per un musicista. Tutto quel silenzio...».
Il suo compositore preferito?
«Alberto Iglésias, quello di Almodóvar. Ha senso realistico e palpito sentimentale. Non è mai zuccheroso».
Il regista più fantasioso nell’uso della la musica?
«Quentin Tarantino. Inventa abbinamenti fantastici».
Nicola Piovani le piace?
«Mi piace molto la musica che scrisse per La notte di San Lorenzo dei Taviani. Con me è sempre gentile».
Morricone, per molti, significa «tema»: nel senso che le sue colonne sonore si ricordano per la potente e intensa orecchiabilità.
«Morricone è un grande, ma vorrei ricordare che il leitmotiv nasce dal jazz, dagli anni Venti. Formula vincente, perché dal “tema” spesso intuisci lo sviluppo emotivo del film. Il che è un vantaggio che preferisco non dare sempre allo spettatore».
Ma ammira Morricone?
«La musica di Nuovo cinema Paradiso è bellissima. Mi chiedo perché ancora non gli abbiano dato un Oscar».
Lo sa che, all’epoca di Pasolini. Un delitto italiano di Marco Tullio Giordana, Morricone si rifiutò di inserire nella colonna sonora una canzone di De Gregori sul poeta ucciso, A Pa’, che sembrava perfetta?
«Diciamo che io sono più aperto, non mi offendo se dal regista vengono spunti e idee».
Giusto. Ma non le pare pigro l’uso delle canzoni che si fa nel nostro cinema d’autore? Non c’è film, da Amelio a Moretti, che non sfoderi a un certo punto un motivetto degli anni Settanta che esce dalla radio con il protagonista che vi canta sopra...
«Tecnicamente si chiama musica diegetica. È una moda buffa, che ha preso piede. Punta sull’effetto nostalgia-simpatia. Quando arriviamo noi, spesso a film montato, si può fare ben poco».
Sul fronte canzonette lei di che scuola è?
«Buscaglione, Battisti e Conte. Ma Vieni via con me ha un po’ stufato, per l’abuso che se n’è fatto. Ogni tanto ne scrivo anch’io. Con Giorgia per La finestra di fronte, con Grignani per Che ne sarà di noi, con Tiziano Ferro per Cuore sacro...».
Quest’ultima è saltata dal montaggio finale, però.
«Vero. Magari Tiziano la metterà nel suo prossimo cd».
Capita mai di scopiazzare?
«Lavoriamo su dodici note. Le combinazioni non sono infinite. Ma se ho un dubbio interpello un mio amico, Claudio Fuiano: è un’enciclopedia sonora. Non voglio cause in stile Bacalov-Endrigo».
Però ammetterà che il ritornello minimalista al piano da lei scritto per Angela riecheggiava quello di In the mood for love?
«Lo ammetto. Fu una richiesta precisa di Roberta Torre».
Scrive molta musica per ogni film?
«Arrivo anche a due ore. Poi si sceglie. Non mi piace spalmare la musica. Ci sono film straordinari senza commento o quasi. Come La collina del disonore di Lumet».


Ultima domanda: se un regista amico cambia compositore lei che fa?
«Mi dispiace. È appena successo con Faenza. Nel suo nuovo film, I giorni dell’abbandono, recita Goran Bregovic. Naturalmente lui ha chiesto di firmare la colonna sonora. Magari ci rivedremo al prossimo film».

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