Roma

Il padre dell'agente che sparò a Sandri: «Mio figlio non è un killer»

Per Vito Spaccarotella è impensabile sostenere che suo figlio Luigi l'11 novembre del 2007 abbia premuto il grilletto per uccidere. «È stato un evento colposo», scrive in una lettera ad un giornale.

Omicidio volontario proprio no. Non ci crede Vito Spaccarotella che suo figlio Luigi l'11 novembre del 2007, in un'area di servizio in provincia di Arezzo, sparò per uccidere. «È impensabile sostenere o ipotizzare anche solo per assurdo che mio figlio, un ragazzo per bene, un servitore dello Stato con un curriculum di servizio di tutto rispetto, esca di casa con l'intenzione di sparare ad un altro uomo», sostiene il papà dell'agente della Polstrada condannato in appello a 9 anni e quattro mesi per l'uccisione di Gabriele Sandri, tifoso della Lazio. Vito Spaccarotella affida il suo sfogo a Piero Sansonetti, direttore di Calabria Ora.
Da quando i giudici di secondo grado hanno ribaltato il primo pronunciamento per omicidio colposo trasformando quanto accadde in quell'autogrill in un delitto voluto, il papà del poliziotto non si dà pace. «Che mio figlio abbia sparato per uccidere - continua - onestamente è un fatto che non sta nè in cielo, nè in terra, e questo potrebbero testimoniarlo anche le pietre. Che, al contrario, vi sia stato un evento colposo è un dato provato da tutte le perizie». Spaccarotella, sostiene il padre, era in strada come sempre per fare il suo mestiere, servire lo Stato e onorare la divisa in cambio di un misero stipendio. «Oggi anche lui è un uomo distrutto, la sua vita è distrutta, la sua famiglia è distrutta. Come lo è la famiglia di Gabriele, lo sono bene, che ha sofferto anche molto più di noi, e alla quale va la mia solidarietà.

Ma il loro atroce dolore - si chiede Spaccarotella - sarà più sopportabile se potrà creare nuovo dolore, nuove pene ad altre persone? Io non lo credo, non ho mai pensato che fosse questo il senso della giustizia».

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