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Pagati in natura: rivoluzione welfare in azienda

Dalla palestra alle rette dell'asilo: oggi le aziende (e i lavoratori) preferiscono i benefit anziché aumenti di stipendio. Ecco perché

Pagati in natura: rivoluzione welfare in azienda

Se alla scrivania di fianco alla vostra c'è ancora qualcuno che viene in ufficio e si limita ad aspettare la busta paga alla fine del mese, non solo farebbe meglio a cambiare mestiere ma più semplicemente ha sbagliato secolo. Sì, perché anche in Italia il mondo dell'occupazione è cambiato.

Mentre sono mutati orari e modalità di impiego, soprattutto nel settore privato e con significativi passi in avanti in quello pubblico, si è trasformato il rapporto datore di lavoro-dipendente. Sono sempre di più le aziende che adottano una nuova filosofia e fanno in modo di accompagnare il lavoratore dalla culla alla pensione e oltre. «Welfare aziendale» è la formula magica che sta rivoluzionando, da Nord a Sud, uffici del personale e vita quotidiana degli italiani. Si parla di strumenti non inediti come previdenza e sanità complementari, assicurazioni, assistenza ai familiari non autosufficienti, fino ad arrivare a soluzioni più innovative come il rimborso spese per l'istruzione dei figli e per gli spostamenti casa-lavoro, scambio di ferie tra colleghi con la banca dati dei giorni di riposo, o la possibilità di frequentare palestre, cinema, teatri o addirittura di andare in vacanza a spese del proprio «capo». Allo stesso modo è concesso alle imprese di convertire i tradizionali premi aziendali, quando previsti, in servizi di welfare, col vantaggio che risultano totalmente esenti da tassazione a monte.

Le leggi di Stabilità dell'ultimo triennio hanno aperto la strada prevedendo massicci incentivi fiscali per le imprese che mettono in pratica iniziative a sostegno del benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie. Ma non è soltanto materia da commercialisti o da studi di settore. All'origine c'è qualcosa di più profondo. Gli esperti di diritto del lavoro sono concordi: assistiamo a una nuova era delle relazioni sul posto di lavoro, paragonabili alle grandi rivoluzioni industriali del passato. E il nocciolo della conquista conserva un sapore antico e moderno. Insomma, è come se si tornasse a essere «pagati in natura». E la svolta la si legge nei numeri. L'ultimo Rapporto Welfare Index Pmi - ricerca appena presentata da Generali con la partecipazione di Confindustria, Confartigianato, Confagricoltura e Confprofessioni e che ha monitorato più di 4mila imprese italiane - ha certificato la crescita costante del welfare aziendale. Le imprese attive con un'iniziativa in almeno quattro aree (salute e previdenza, conciliazione vita-lavoro, formazione e mobilità, cultura e tempo libero) sono ormai più del 40%. Le imprese che hanno messo in atto almeno cinque iniziative sono passate dal 26% del 2016 al 37% del 2018.

L'AZIENDA TI COCCOLA

Cosa ancor più importante dal punto di vista «qualitativo», spiegano i ricercatori, è che l'obbiettivo di 4 aziende su 10 è «migliorare la soddisfazione dei lavoratori e il clima sul posto di lavoro», ancor prima che aumentare la produttività. Il primo rapporto Censis-Eudaimon dedicato al fenomeno ha calcolato un valore potenziale di 21 miliardi di euro se venisse esteso a tutti i lavoratori del settore privato. Sarebbe a dire quasi una mensilità in più all'anno per singolo lavoratore, in valore assoluto siamo attorno all'1% del Pil. Con un aspetto interessante: di fronte alla possibilità di trasformare premi di retribuzione in prestazioni, 6 lavoratori su 10 si dicono favorevoli. La pensano così soprattutto dirigenti, quadri e impiegati con figli piccoli; meno d'accordo operai e impiegati con redditi bassi, i quali continuano a preferire il caro vecchio denaro in busta paga, per dire, alla spesa trendy e a chilometri zero nel cortile della fabbrica.

Il professor Michele Squeglia, docente di Diritto sindacale e Relazioni industriali presso l'Università Statale di Milano, ci aiuta a capire quello che sta avvenendo mentre timbriamo il cartellino. «Sono soluzioni che in Italia esistono già dagli anni '50 e '60, quando le multinazionali e i colossi come Fiat, Rinascente e Benetton elargivano per la prima volta fringe benefit per i loro manager. Oggi assistiamo a un avanzamento delle piccole e medie imprese e a un parallelo arretramento da parte dello Stato, che lascia sempre più spazio d'iniziativa ai privati. E si allarga la platea dei beneficiari, non più solo quadri e dirigenti».

La novità più grande, in un Paese spesso ancorato a vecchi modelli, è il cambiamento di mentalità, come dimostrano le storie raccontate in queste pagine. «I vantaggi di natura fiscale e tributaria non bastano a spiegare il successo del welfare aziendale. È indubbio che tra i lavoratori sta nascendo un grande interesse. Tra gli imprenditori, c'è una presa di coscienza del benessere dei dipendenti e delle loro famiglie».

BENEFIT CUCITI SU MISURA

«Sono i datori di lavoro che hanno il compito di individuare bisogni che - non dimentichiamolo - non sono determinati una volta per tutte, ma variano in base al ciclo di vita». Per esempio, per una neoassunta dai 20 ai 30 anni la prima esigenza sarà la formazione professionale; mentre dai 30 ai 40 anni chiederà congedi parentali per crescere i figli; dai 50 ai 60 avrà bisogno di aiuto per l'assistenza ai genitori anziani, e così via. «Nell'immediato futuro - conclude Squeglia - le imprese dovranno sforzarsi di elaborare strumenti di welfare innovativi, sviluppando pacchetti integrati di prestazioni e collegandoli con i servizi che i territori e i distretti già offrono. A patto di saperli comunicare ai dipendenti». Perché solo chi è informato potrà comprendere i vantaggi di una retribuzione in «natura» (che sia la baby sitter aziendale o l'abbonamento in piscina poco importa...

) rispetto a un semplice aumento di stipendio, coi tempi che corrono destinato a venire prosciugato dal fisco vampiro.

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