Controcultura

Palma d'oro a Parasite. Fuori l'Italia di Bellocchio

Il premio più ambìto va al film del coreano Bong Joon-ho Banderas miglior attore. Ai Dardenne la miglior regia

Palma d'oro a Parasite. Fuori l'Italia di Bellocchio

La Palma d'Oro parte per la Corea. A sollevare il premio più prestigioso sulla Croisette è il regista Bong Joon-Ho che ha firmato Parasite, di cui in Italia Academy Two ha già acquistato i diritti. Un colpo di scena che sbaraglia i titoli più accreditati della vigilia. C'era una volta... a Hollywood rimane a secco. Bocciato anche il Buscetta di Bellocchio. Ne è uscito un palmarès trasversale. Nessuno ha fatto incetta di premi e il «Grand Prix» è andato ad Atlantique di Mati Diop sui problemi dell'immigrazione. La Palma di miglior regista è andata ai fratelli Dardenne per Il giovane Ahmed mentre Antonio Banderas e Emily Beecham si sono aggiudicati i riconoscimenti per il miglior attore e la miglior attrice, rispettivamente in Dolor y gloria e Little Joe, film sorprendente sull'ingegneria biologica. Ex aequo per il premio della giuria andato a Les Misérables dell'esordiente Ladj Ly e al brasiliano Bacurau di Mendonça e Dornelles. La lista è chiusa da Céline Sciamma, premiata per la sceneggiatura di Portrait de la jeune fille en feu e dalla citazione speciale per Elia Suleiman e il suo It must be heaven.

L'edizione numero 72 passa e chiude tra molte luci e qualche ombra. Rispetto a un anno fa si alza la qualità di film e ospiti. Da DiCaprio e Pitt, da Tarantino a Penelope Cruz, da Bloom a Stallone e Delon che non erano in gara, oltre ai prestigiosi nomi in concorso - come i fratelli Dardenne, Pedro Almodóvar e Marco Bellocchio - è stata una parata di stelle. Una Croisette perennemente affollata si è cibata di autografi, selfie e una caccia alle divinità del grande schermo. Voti più mediocri all'organizzazione che ha stilato un programma discutibile con proiezioni contemporanee, una gestione opinabile dei posti in sala e le conferenze degli autori, regolarmente fissate il giorno successivo alle presentazioni, invece di essere differite di qualche ora rispetto al passaggio dei film.

Le polemiche hanno fatto il resto. I dodici minuti di sesso di Mektoub, my love: intermezzo - quattro ore di film programmate dalle 22 - hanno scatenato e deluso gli spettatori di un'opera sostanzialmente vuota, costruita su una sequenza iniziale di 38 minuti e una successiva di due ore e tre quarti, aride come la serata in discoteca dei protagonisti. Le accuse di ridondanza al regista franco-tunisino si sono sommate alle proteste del #metoo che il divo Alain Delon e i suoi 83 anni di nostalgia hanno cancellato con uno sguardo e un sorriso.

Molti i delusi anche fra i Tarantino's, spiazzati da un'opera diversa dalle precedenti. Ben venga invece la capacità di evolversi e sviluppare argomenti e temi diversi. C'era una volta a... Hollywood è il ritratto scanzonato e malinconico di un mondo che non c'è più e la prima mondiale ha incollato su Cannes gli occhi di tutto il pianeta, pochi giorni dopo la passerella di Dolor y gloria di Almodóvar, già da tempo in circolazione in Spagna. Mistero di una primizia appassita. Se Luc e Jean-Pierre Dardenne confermano la loro delicata attenzione ai temi sociali attraverso l'introspezione adolescenziale - stavolta è Il giovane Ahmed, un musulmano in lite con un microcosmo che non accetta il suo integralismo religioso - sono state le future leve del cinema ad alzare contenuti e film. Il brasiliano Bacurau della coppia Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles attacca indirettamente il governo di Bolsonaro mentre lo stesso Tarantino osa forse più del lecito quando mette in bocca a Brad Pitt la frase «Non vorrai mica metterti a piangere davanti a un messicano», rivolta a DiCaprio. L'aderenza democratica del regista suona provocatoria nei confronti di Trump nella stessa misura in cui è il messicano Alejandro González Iñarrítu a presiedere la giuria della Palma d'oro 2019. E forse non gliel'ha perdonata.

Azzardi cui si sottraggono i talenti futuri. Con Portrait de la jeune fille en feu, Céline Sciamma ha messo in vetrina l'abilità recitativa di Adèle Haenel e Noémie Merlant, ingiustamente trascurate dalla giuria come Sara Forestier che nel noir Roubaix une lumière ruba la scena a Léa Seydoux. La raffinata e amara ironia del palestinese con cittadinanza israeliana - avete letto bene - Elia Suleiman ha toccato il travagliato tasto del sentimento di patria in maniera largamente innovativa.

Meritato elogio a Les Misérables, dramma francese delle banlieue con il difetto di ricalcare troppi luoghi ahinoi comuni.

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