Cultura e Spettacoli

Il paradosso di "The Square" dove l'arte vale solo se fa litigare

Colpisce la satira del regista Östlund sui controsensi della società che si dichiara "aperta" ma vive di pregiudizi

Il paradosso di "The Square" dove l'arte vale solo se fa litigare

Da Cannes

The Square, «Il quadrato», è un'installazione permanente d'arte contemporanea svedese. Si tratta di una grande mattonella su cui sono incise queste parole: «Un santuario di fiducia e altruismo. Al suo interno abbiamo tutti gli stessi diritti e doveri». È quella che si chiama arte concettuale, trasmette cioè un'idea, magari suscettibile di una sua messa in pratica. Nel caso in questione, chi si trovasse dentro quel quadrato dovrebbe essere pronto ad aiutare chi, nelle sue vicinanze, si trovasse in difficoltà.

Il limite di questo tipo di arte è che, se non la spieghi, nessuno la capisce. Christian, il direttore del museo che ha acquistato l'opera grazie a una donazione privata, lo sa benissimo. Il pubblico va educato, l'arte dev'essere democratica, dunque fruibile da tutti, e naturalmente portatrice di valori positivi: tolleranza, eguaglianza, amore per il prossimo eccetera. Occorre dunque una campagna pubblicitaria che incarni tutto questo, ma i «creativi» chiamati a idearla storcono il naso: il «messaggio» è tropo «simpatico», quella mattonella incarna una consensualità che nessuno mette in discussione. Non provoca, insomma, non suscita dibattito. La loro strategia comunicativa sarà perciò la seguente: un video, con dentro una bella bambina bionda in lacrime e malvestita, chiaramente una piccola mendicante. Poi una scritta, scandita dal rumore dei secondi che passano: «Quanta inumanità è necessaria prima di arrivare alla vostra umanità?». Infine, un'esplosione, con la piccina fatta a pezzi. Il successo è clamoroso e il dibattito su The Square dilaga sulla stampa e sui social network. Nel coro delle critiche e dei consensi c'è però chi punta il dito: perché bionda, ovvero nordica, insomma ariana, e non bruna, ovvero meridionale, magari zingara? Non hanno anche loro diritto all'accoglienza, sia pure espressa in forma esplosiva?

The Square, di Ruben Östlund, ieri in concorso, è una satira, ben riuscita, del tipo di società che ci circonda. C'è questo mondo dell'arte sempre più mercato e sempre meno comprensibile, dove non esiste più l'opera in sé, ma l'intenzione dell'artista. Sono venuti meno i fondamentali, della pittura, della scultura, e al loro posto c'è il progetto, l'esperimento, il percorso, l'impulso, il non detto, il sotto-testo, l'ipertesto. C'è un società che si vuole aperta, ma si è di fatto organizzata in enclave che fra loro non si incontrano. «Nel 2008 è nato in Svezia il primo quartiere chiuso - spiega il regista -. Vi possono accedere solo i proprietari che lì abitano. È un esempio estremo di come le classi privilegiate si isolino dal mondo che le circonda, ed è anche uno dei tanti segni di un individualismo in crescita nelle società europee, di pari passo con l'aumento del debito pubblico, del diminuire dello Stato sociale, della sfiducia verso le istituzioni. Sto parlando della Svezia, ovvero una nazione fra le più egualitarie al mondo».

Christian, il protagonista del film, possiede una vettura elettrica costosissima, in nome dell'ecologia ambientale, ed è un sincero sostenitore delle grandi cause umanitarie: però quando si troverà derubato del portafoglio e del portatile, avrà una reazione più da Far west che da filosofo illuminista. Allo stesso modo, è un convinto estimatore dell'arte contemporanea di cui il suo museo è custode e divulgatore, ma messo di fronte alle sue spiegazioni delle opere che contiene, fatica a capire che cosa vogliano dire... Claes Bang, che lo interpreta, è perfetto nel suo essere un camaleonte del nostro tempo, attento al proprio status, preda di contraddizioni quanto a morale pubblica e morale privata, altruista e però egoista. The Square è un ironico quanto amaro sguardo sul tipo di società che noi europei abbiamo finito per costruire. «Negli anni '50, in Svezia, gli adulti venivano visti come persone di cui un bambino si poteva fidare.

Oggi sono percepiti come una minaccia: una società che non ha fiducia in se stessa, non va però da nessuna parte».

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