Cultura e Spettacoli

Pennacchi: "Prima o poi me danno er Nobel"

Un quasi-monologo del vincitore del premio Strega al quale l'etichetta del "fasciocomunista" sta stretta: "Sono di sinistra, ma la sinistra non mi vuole. Almeno pensassero agli operai"

Pennacchi: "Prima o poi me danno er Nobel"

Non gli piacciono le interviste, preferisce i monologhi. Le domande dei giornalisti lo infastidiscono, è convinto che lo portino fuori strada, che vogliano fargli dire ciò che non vuole dire. Così finisce che prende lui l’iniziativa e va dove lo porta il cuore o la rabbia che sembra sempre covare dentro quest’uomo insolito, sanguigno, battagliero, imprevedibile. Un uomo con una storia alle spalle fra le più sorprendenti, operaio ai turni di notte in una fabbrica di cavi fino a dieci anni fa, poi dottore in lettere a quarant’anni, frequentando l’università nei periodi di cassa integrazione e infine scrittore. «Quello per cui sono nato», dice.
È Antonio Pennacchi, vincitore dell’ultimo Premio Strega con Canale Mussolini, la storia epica della bonifica dell’Agro Pontino voluta dal Duce, scritto con umanità, ironia, tenerezza, dolore. Un grande affresco che racconta l’epopea delle famiglie costrette dalla fame a trasferirsi dal Veneto, dal Friuli, dal Ferrarese verso sud, in cerca di un futuro e di un po’ di benessere. Trentamila persone che in tre anni lasciarono le loro terre, le loro case, gli affetti, le quotidiane abitudini per emigrare come fecero i cow boy nel West, portando manodopera per la costruzione del Canale dove vennero raccolte le acque che portavano la malaria nell’Agro Pontino. «Certo - dice Pennacchi -, c’è dentro un po’ la storia anche della mia famiglia, ma soprattutto la Storia. Una pagina di storia italiana. Perché Mussolini, al di là dello schifo della guerra, della dittatura e delle leggi razziali, ha fatto anche qualcosa di buono».
Ma non chiedete a Pennacchi se sia fascista, potrebbe mordervi. Non è uno che va per il sottile, in fabbrica menava botte a destra e a manca, lo hanno cacciato dal sindacato e dal lavoro perché non riuscivano a gestirlo. Fascista comunque lo è stato, non lo nega, nel Msi, per poi diventare sessantottino, socialista, comunista, cgillino, uillino e ora stalinista-leninista-marxista. «Che però fa i conti col mercato», puntualizza. Ha perso il fratello Gianni, notista politico del Giornale, nel dicembre scorso, e ha una sorella, Laura, deputata Pd, ha scritto nove libri, fra cui Il fasciocomunista, dal quale è stato tratto il film Mio fratello è figlio unico, interpretato da Riccardo Scamarcio ed Elio Giordano nelle parti di Gianni e Antonio. Ma è bene non parlargliene troppo: «Lassamo perde, ’na cazzata. Bravo Scamarcio, bravo Giordano, che poi so’ io, bravi tutti gli interpreti, ma la regia era meglio che andasse a fa’ un giro in campagna». Però gli piacerebbe che anche Canale Mussolini diventasse un film: «ma questa volta si cambia la regia, e che famo, n’antra cazzata?».
Degli anni d’università parla con nostalgia. «Alle otto in punto ero già seduto in aula, volevo godermi le lezioni, avevo fame di sapere. Pensavo di dare l’esame di letteratura italiana con Asor Rosa. Scrive per l’Unità, è un bravo compagno, mi son detto. Poi ho sentito la prima lezione e l’ho mandato a fà... Sembrava che sapesse tutto lui e gli altri coglioni, lo seguivano gli assistenti genuflessi e carichi di borse». Quanto allo scontro quasi fisico con il filosofo Gianni Vattimo... «ma che me frega, io dico sempre quello che penso, non le mando a dire. Qualche volta mi scappa qualcosa di troppo, come quando mi chiamano per le interviste la mattina presto e io sparo la prima cosa che mi viene in mente, magari una cazzata. Ma poi me ne pento. La mattina dormo fino a tardi perché la notte sto sveglio, ho ancora l’orologio biologico della fabbrica, quando facevo i turni di notte».
Un paio di ernie del disco, una resezione gastrica, due infarti hanno piegato il fisico dello scrittore, ma non il piglio del guerriero. «Giro col bastone perché mi aiuta a stare in piedi e perché quando m’incazzo lo faccio roteare e spavento l’interlocutore». E quel berretto sempre in testa anche a tavola, in presenza delle signore, alla premiazione dello Strega e ai convegni? «Ma che te frega del cappello? Lo porto per tre motivi. Primo, me fa male la cervicale e il berretto aiuta. Secondo, lo portano tutti gli operai, i miei ex colleghi. Terzo, il più importante, lo portava mio padre, così mi identifico con lui».
Poi torna a Canale Mussolini. «È da quando avevo sette anni che volevo scriverlo. Per buttarlo giù ho impiegato quattro mesi. E che ce vo’, il lavoro duro è stato prima, la ricerca, le indagini, le letture, la storia, gli incontri con la gente che ricordava. Tutto macinato, ruminato, sofferto, rivissuto anche nei racconti della mia famiglia, tutto qui dentro nel cuore, nella pancia. La storia della famiglia Peruzzi è un po’ la storia della mia famiglia».
Sa essere modesto o presuntuoso, simpatico o antipatico, sommesso o scatenato come una furia. È difficile nella conversazione, sincero se gli va, mente sapendo di mentire e poi lo ammette. Ma va soprattutto valutato per ciò che ha scritto, e in questo senso alcuni critici hanno paragonato i suoi libri alle opere del Manzoni. Mondadori, che per il quarto anno consecutivo s’è aggiudicata la vittoria dello Strega, ha già venduto trecentomila copie di Canale Mussolini, e il romanzo è in pianta stabile al primi posti delle classifiche di vendita. «Alla Mondadori - commenta Pennacchi - ho trovato persone intelligenti che sanno cos’è un libro e sanno come trattarlo. Tutte le chiacchiere sulle manovre per vincere lo Strega sono delle gran cazzate. Mondadori s’è portato a casa per 27 volte questo premio in 64 anni, vorrà dire qualcosa o no? Sempre oscure manovre, o grande intuito nello scegliere gli autori? Il mio primo libro, Il fasciocomunista, prima l’ho mandato inutilmente a 33 editori e nessuno l’ha voluto. Ho anche insistito, a qualcuno l’ho mandato tre volte. Feltrinelli non mi ha mai neanche risposto al telefono. Si vede che la sinistra non mi vuole. Eppure, prima o poi prenderò il Nobel».
Ed ecco il capitolo politico. «Io sono di sinistra, ma non rinuncio alla critica. Diciamo che vorrei una sinistra coi controcazzi, con i piedi per terra, che pensi alle fabbriche e al nucleare, che si occupi più della classe operaia e dello sviluppo. Meno chiacchiere e più fatti. Berlusconi? Vogliamo esaggerà? Dico che gli italiani l’hanno votato, ce l’abbiamo e per ora ce lo dobbiamo tenere, poi si vedrà. Criticarlo non serve, bisogna essere pronti. Quando lui annuncia: farò due autostrade e il ponte di Messina, la sinistra deve ribattere subito: e noi ne facciamo tre e il ponte di Cagliari e magari andiamo sulla Luna. Che je pare?».
Per finire, un piccolo elenco di persone che, tiene a far sapere, gli stanno sui co..., giusto per evitare di nominarle in un’eventuale conversazione con lui: Bertinotti, Mughini, Scola, Pansa, Vattimo, Asor Rosa, Furio Colombo, Agnoletto, Cesarini, Giovanni Berlinguer, De Carlo, Bocca, Santoro, Di Pietro. E Cofferati: «Je vojo bene, ma un giorno je stavo pè menà». Gli piacciono invece D’Alema e Fini.

Pazienza.

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