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Caso Ferragni, così ha "confuso" i clienti sulla beneficenza

Una pratica commerciale scorretta perpetrata grazie alla fedeltà del suo pubblico ma non solo: ecco come Chiara Ferragni è riuscita a ingannare i propri follower "ipnotizzandoli" con il suo brand

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Le cronache delle ultime ore ci raccontano di una Chiara Ferragni sempre più in difficoltà a causa delle indagini che scoprono un mondo sommerso che somiglia al vaso di Pandora: la Procura milanese ipotizza una truffa aggravata sulla vincenda del pandoro-gate ma potrebbe non essere ancora arrivata la punta dell'iceberg sulle manipolazioni mediatiche dell'influencer nata a Cremona. Lo spiega chiaramente l'avvocato e presidente dell'Unione Nazionale Consumatori (Unc), Massimiliano Dona, che fa luce sui meccanismi che si creano online quando si ha a che fare con un personaggio così famoso.

Il "trucco" della Ferragni

"I consumatori sono stati confusi", ha spiegato Dona al Messaggero, spiegando che si è trattato di una specie di trucco che ha mescolato "un'iniziativa di beneficenza con il volto di un personaggio talmente noto da mettere in secondo piano qualunque cosa". Ed è vero, visto i numeri che ha ottenuto la Ferragni in questi anni. Ma è solo uno di quelli utilizzati dall'imprenditrice digitale per mettere in crisi i suoi follower. Nella finta beneficenza natalizia è mancata una sola parola, ma fondamentale: trasparenza. L'avvocato sottolinea che quando si tratta di vera beneficienza "vuol dire spiegare qual è il meccanismo che porterà ad aiutare a collaborare ad una giusta causa".

"Ipnotizzati dal brand"

Il consumatore che vuole acquistare un prodotto per aiutare chi è più in difficoltà deve essere a conoscenza di tutti i passi che porteranno i suoi soldi nelle casse dell'ente a cui sono destinati. "Informazioni che devono essere fornite all'atto della proposta della comunicazione di un'iniziativa di beneficenza", sottolinea Dona. Alla precisa domanda se la Ferragni abbia utilizzato dei "trucchi psicologici" per aumentare l'appeal, l'avvocato sottolinea che sulla vicenda del pandoro Balocco l'iniziativa "ha un po' confuso i consumatori" perché nella beneficenza è stato inserito "il volto di un personaggio che è talmente noto da mettere in secondo piano qualunque cosa, persino il prodotto che pubblicizza (immaginiamoci tanto più un'iniziativa di beneficenza). Quindi chi ha aderito a questa iniziativa, probabilmente lo ha fatto semplicemente ipnotizzato dal brand Chiara Ferragni, seguendola in tutto quello che fa".

Il risarcimento per i consumatori

Adesso, però, è molto difficile se non impossibile che i consumatori possano richiedere il denaro speso perché bisognerebbe avere a portata di mano lo scontrino d'acquisto e andrebbe dimostrato, come spiega Dona, che quel prodotto è stato acquistato esclusivamente per fare beneficenza e non perché lo ha sponsorizzato Chiara Ferragni. Ma come si fa a scindere una pratica commerciale scorretta dalla truffa come potrebbe essere avvenuto in questa vicenda? "Devono ricorrere una serie di elementi, ovvero l'intenzione di arrecare un danno alla vittima e quello contemporaneamente di arricchirsi. Se cominciano ad allinearsi più situazioni diverse in occasioni di beneficenza, sicuramente la posizione si aggrava - spiega il presidente dell'Unc - Ma non solo dell'influencer, ma forse ancor più quella delle aziende. Bisognerebbe dimostrare che c'era un dolo da parte di tutti i partecipanti, che nel mondo penale viene valutato sempre con grandissima cautela".

La vicenda insegna, per il futuro, che per la vera beneficenza e le opere di carità sarebbe bene affidarsi a enti e strutture che già si conoscono senza farsi "influenzare" più di tanto da chi vanta milioni di follower.

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