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Chiara Ferragni e il pasticciaccio brutto della "falsa beneficenza"

Mescolate in modo poco chiaro donazioni e attività commerciali. E la gente smette di fare beneficenza. Una responsabilità che l'influencer dovrebbe prendersi

Chiara Ferragni e il pasticciaccio brutto della "falsa beneficenza"

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Chiara Ferragni è di nuovo al centro di una polemica. Che novità, direte voi. Questa volta però è diverso: non si tratta infatti di una di quelle solite polemiche che riguardano le sue parti intime esposte più o meno propriamente sui social. Questa volta si parla di Antitrust e di quella che "non è definibile come vera beneficenza".

Lo scorso Natale Chiara Ferragni, in collaborazione con Balocco, ha messo in commercio un pandoro in quella che sembrava un'operazione a fin di bene: raccogliere soldi da destinare in beneficienza all'ospedale Regina Margherita di Torino. L'influencer non aveva mancato di pubblicizzare l'operazione sui suoi social, accompagnando gli scatti alla scritta: "Sosteniamo insieme un progetto di ricerca". Parole che - lette ingenuamente dai follower - potevano far pensare che la cifra destinata in beneficenza sarebbe stata proporzionale all'ammontare delle vendite.

Ma ecco il guaio: secondo l'Antitrust la società aveva già deciso quanti soldi donare, a prescindere dalla cifra che sarebbe stata poi effettivamente raccolta dalla vendita del pandoro griffato Ferragni. Per questo ha aperto un'istruttoria, volta a chiarire se l'azienda abbia messo in atto "una pratica commerciale scorretta in relazione all’iniziativa commerciale". Infatti, come sottolinea l'Antitrust, "i consumatori potevano essere indotti a credere che acquistando il pandoro griffato Ferragni contribuissero alla donazione", "mentre la Balocco aveva già disposto una donazione in cifra fissa parecchi mesi prima (...) del tutto indipendente dall’andamento delle vendita del prodotto".

I proventi delle vendite? Sarebbero andati tutti a Balocco e, naturalmente, una parte a Chiara Ferragni, che si suppone abbia ricevuto un compenso (forse proprio in percentuale sulle vendite) per la collaborazione. Infatti, oltre all'illusione di fare beneficenza, a incentivare le persone a comprare il pandoro era anche il brand Ferragni sopra il dolce natalizio. In due parole: pubblicità ingannevole.

Non è la prima volta che i Ferragnez vengono travolti da una polemica sulla beneficenza. Sebbene la coppia sia stata - e sia - molto attiva in iniziative lodevoli (come la realizzazione di un intero nuovo reparto di terapia intensiva in periodo Covid o più di recente il LoveMi, il concerto in piazza Duomo a Milano organizzato da Fedez i cui proventi ogni anno vengono destinati a una causa benefica diversa) spesso incappa in brutti errori sul tema.

Dopo il pandoro-Ferragni, a Pasqua era toccato alle uova di cioccolato-Fedez. Anche in quel caso era stata Selvaggia Lucarelli a sollevare dubbi sull'effettivo funzionamento dell'operazione benefica. Come nel caso pandoro, anche lì sembrava ci fosse un nesso tra il numero di uova vendute e la cifra che sarebbe stata poi destinata in beneficenza. Invece, non era così. Interrogato, Fedez aveva calato la maschera: l'azienda produttrice, Walcor, aveva già stabilito di donare 30mila euro alla causa e altrettanti aveva donato Fedez. Poi, spiegava il rapper, "in base alle vendite delle uova, io guadagnerò il 10%" dato che "è un'attività commerciale". Esattamente quello che ora l'Antitrust suppone sia successo con il pandoro-Ferragni. Il problema, in quel caso, è che nessuno degli attori ha chiarito questa dinamica, preoccupandosi solo di incentivare a comprare il dolce natalizio usando la leva della beneficenza.

Se fosse confermato quanto ipotizzato dall'Antitrust, Chiara Ferragni e Balocco avrebbero incassato tutti i proventi delle vendite sponsorizzate a fronte di una donazione fissa già decisa in precedenza. E tutti coloro che hanno acquistato il pandoro sperando di partecipare alla beneficenza, di "sostenere insieme il progetto di ricerca" (come diceva la Ferragni), sarebbero stati ingannati: in realtà avrebbero solo contribuito ad arricchire azienda e influencer. Una conclusione che sicuramente lascerebbe l'amaro in bocca a tanti. La beneficenza è una cosa seria, e queste brutte dinamiche che mescolano in modo poco chiaro donazioni e attività commerciali non fanno che dissuadere la gente comune (e con poche possibilità) dal farla.

Un responsabilità che Chiara Ferragni, dall'alto dei suoi 29 milioni di follower, dovrebbe prendersi.

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