Controcultura

L'arte (giornalistica) del ritratto


Esce una raccolta di «profili» di Giancarlo Perna, maestro di un genere amato dalle grandi firme: da Montanelli a Brera, da Zucconi a Pansa

L'arte (giornalistica) del ritratto

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Il giornalismo, come la letteratura, procede per generi. C’è l’editoriale (che a parte i politici non legge nessuno). Il commento (il più facile: tutto è commentabile e tutti possono commentare). C’era una volta il maestoso elzeviro: è morto, peccato.

Ci sono, ma sempre meno, i reportage, che però, come le inchieste, costano troppo per i giornali di oggi.

C’è l’intervista, la puttana del giornalismo: se ti esce bene può essere l’articolo ier più bello del giorno, ma capita raramente; se esce male è la cosa peggiore che ci sarà in pagina. E poi c’è il ritratto. Il principe. Il fiore all’occhiello di ogni quotidiano.

L’articolo più bello da scrivere per chi scrive e quello più bello da leggere per chi legge. Il punto in cui letteratura e giornalismo s’incontrano. Qualche esempio?

Partiamo da Giancarlo Perna, a lungo firma del nostro Giornale, già dai tempi di Montanelli, e inviato di settimanali storici come l’Europeo, Epoca, Panorama. Ormai a riposo da qualche tempo (e ci manca molto), Perna torna in scena con un libro- Facce da casta, sottotitolo «Luci e ombre del potere» (Luni) – che raccoglie una settantina dei suoi ritratti migliori, scritti fra il Duemila e il 2020 su il Giornale, Libero e La Verità, dalla A di Giuliano Amato alla Z di Gustavo Zagrebelsky. Ci sono intellettuali, personaggi della tv e naturalmente tanti politici, che offrono sempre la materia migliore. Perna è elegante, e implacabile. Feroce, ma con classe. Non picchia, ma punge. Leggerlo all’epoca era un godimento, e rileggerlo adesso – retrospettivamente – quasi profetico. Guardatevi il ritratto della Meloni, scritto nel 2018. Oppure quelli degli intramontabili Augias, Bersani, Draghi, Salvini, Gad Lerner o l’immarcescibile Prodi...

Come fa notare Perna nell’introduzione «Nessuno si riconosce nel ritratto che gli è dedicato. Tutti immaginano di meritare di meglio. Anche se poteva andare peggio perché spesso capita di scoprire sesquipedali magagne del ritrattato a pubblicazione avvenuta». È vero: ci sono personaggi il cui profilo, tante ne fanno, andrebbe aggiornato mensilmente.
La verità è che quella del ritratto è un’arte. Per la quale servono la precisione del cronista, attento osservatore di ciò che accade, e l’invenzione dello scrittore, che sfrutta ogni potenzialità della lingua. I fatti devono attenersi rigidamente al vero (in realtà basta il verosimile...); la forma deve essere invece la più libera possibile. Ciò che uccide un ritratto è la sciatteria della scrittura, ciò che lo esalta l’originalità dello stile.

Abbiamo detto di Perna, e ci inchiniamo. Ma chi sono, o sono stati, i grandi ritrattisti del nostro giornalismo? Montanelli, naturalmente. Dei grandi personaggi che fecero e disfecero l’Italia, da Garibaldi a Grillo, 1111 non se ne lasciò scappare uno. Indro era perfetto, gli bastava un rigo per battezzare chiunque, come Pertini: «Un uomo onesto, coraggioso e coerente con le proprie idee (anche perché ne aveva pochissime)».

O Togliatti, che «non dava del tu neppure a sé stesso». Oriana Fallaci, invece, era la regina dell’intervista, che però aveva anche il passo del ritratto. Vittorio Zucconi, firma superba di Repubblica e non solo, spesso tra i «racconti raccontati», tutti da verificare, e la nuda verità dei fatti, a volte noiosa, come ogni buon narratore non aveva dubbi a preferire i primi: e così scrisse ritratti - da Muhammad Ali a Hilary Clinton, «La donna che voleva tutto e si ritrova con niente» - che sono piccoli romanzi. Chapeau.

Grandissimi ritrattisti – fra epica e giornalismo – furono Giovanni Arpino, Gianni Brera e Gianni Mura (Beppe Viola invece era il maestro dei bozzetti, delle «facce»): non a caso tutti straordinari raccontatori di imprese e eroi sportivi. Oggi ci sono Tony Damascelli, in bilico fra lo spirito dei Tempi e il carattere dell’Uomo, e Manuela Audisio, che non molla mai, come una campionessa vera. E Federico Buffa, che in televisione ha inventato un format. A proposito di piccolo schermo: e i ritratti che cuciva addosso ai politici uno come Sergio Zavoli?
I ritratti sono un genere «lungo» (meno di cento righe non funzionano) e la lista dei ritrattisti lunghissima. I profili, fra cronaca e grottesco, di Pietrangelo Buttafuoco negli anni del Foglio. Le psicobiografie sarcastiche, e irresistibili, di Michele Serra. Gli affreschi cinici e ispirati di Francesco Merlo. E se si vuole tornare dietro di un passo, Giampaolo Pansa. Altro venerato ritrattista. E viene in mente il coccodrillo di Berlinguer; o quando dipinse Andreotti, dopo la sconfitta della Dc nel 1983: erano in piazza del Gesù, Pansa aveva in mano biro e taccuino, il Divo Giulio lo vide e gli chiese, in romanesco, «Che è, mi fa la contravvenzione?».

E tantobasta.

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