Cultura e Spettacoli

Il pittore ragazzino che amava il realismo e fondò «Corrente»

N on aveva ancora diciotto anni Ernesto Treccani quando, il 1° gennaio 1938, usciva a Milano Vita giovanile, poi Corrente di vita giovanile e infine semplicemente Corrente: la rivista che aveva fondato e a cui il suo nome rimarrà sempre legato.
Ernesto era figlio del senatore Giovanni Treccani degli Alfieri, figura di spicco del fascismo e fondatore nel 1925 dell’omonimo istituto per l’Enciclopedia Italiana: la Treccani, appunto, animata da Giovanni Gentile che la fece diventare un vertice assoluto della cultura e dell’editoria europea del Novecento. Di lui, Ernesto, si diceva anzi che avesse ricevuto i fondi per la rivista come regalo per la maturità, e la voce nascondeva qualche malevolenza verso quel ragazzino che sembrava aver avuto accesso troppo facilmente a cose più grandi di lui. Del suo ruolo, comunque, Treccani parlava senza mitologie. «Spesso - ci disse una volta - mi capitava di pubblicare articoli che capivo poco e non sapevo che pesci pigliare. La rivista è stata la mia scuola, la mia università».
La storia di Corrente, che fra il 1938 e il 1943 raccoglie intorno a sé quasi tutta l’arte espressionista italiana (ed è l’ultimo capitolo di quella stagione romantica che subentra alla stagione classica degli Anni venti), è ancora tutta da scrivere. Purtroppo le sue vicende sono state spesso imbalsamate in una retorica antifascista, in una vulgata tutta politica, incapace di dar conto della vera vita artistica del movimento. Di quella storia, comunque, Treccani è stato (con Raffaele De Grada e Piero Gauli, che oggi hanno entrambi novantatré anni) l’ultimo testimone.
Treccani era nato a Milano nel 1920 e aveva iniziato a dipingere nel ’40, mosso dall'esempio di Morlotti e Cassinari, i pittori di Corrente che gli erano più vicini. Era appunto del 1940 un autoritratto in cui appariva più bambino che adolescente e si firmava solo «ernesto», tutto minuscolo, con la grafia incerta di un alunno di prima elementare.
Nel dopoguerra aveva invece aderito al realismo. Era stato tra l'altro uno dei redattori, con De Grada, De Micheli e Vittorini, della rivista milanese Il ’45, vissuta pochi numeri. Inoltre era stato fra i protagonisti del gruppo «Pittura», insieme con altri realisti come Ajmone, Chighine, Francese e il futuro scrittore Giovanni Testori. Dipingeva in quel periodo nature morte dimesse e disorientate, periferie venate di un’allegria malinconica, cronache di rivolte contadine che forse avrebbero voluto comporre un’epopea proletaria, ma di fatto risultavano allucinate come certi racconti contadini. Poi, suggestionato anche da un viaggio in Cina compiuto nel 1955, si era volto verso una pittura liquefatta, incentrata sul colore e su un segno tremante, rabbrividito. Ma i suoi esiti migliori restano i primi, animati da quella «corrente di vita» a cui si ispirava la sua rivista. «Sento in me crescere la vita. Dobbiamo parlare agli uomini le parole della vita», aveva scritto nel ’43.

E rimane questa la sua più autentica dichiarazione di poetica.

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