Un po’ di storia della prostituzione

Caro Granzotto, è evidente che la prostituta nigeriana la cui fotografia, sdraiata sul pavimento di una cella, ha tanto indignato la sinistra non è stata trattata così male, perlomeno non quanto bastava a farla rigare dritto almeno per un po’. Leggo infatti che è stata nuovamente fermata mentre esercitava la sua professione lungo un viale. Mi dica, potremmo mai, magari ritornando alle case chiuse, liberare i nostri marciapiedi da quello spettacolo? Ma davvero la prostituzione è il mestiere più antico del mondo? E non si è mai tentato di debellarla?


La mia idea, caro Carretta, è che la professione più antica del mondo sia quella del ladro e che la prostituzione segua a ruota. E questo perché il soldo facile ha sempre goduto, ancor prima che i fenici inventassero la moneta, grande favore. Ora va di moda sostenere che le prostitute siano tutte vittime, schiave costrette con la violenza a battere il marciapiede o a ricevere nei loro monolocali. Per qualcuna sarà certo così, ma per il grosso dell’armata del sesso a pagamento è una scelta, talvolta determinata dai fatti, ma quasi mai per mancanza di alternative. Mestiere antico, dunque, che qualcuno sostiene sia nato come culto religioso. È noto che già cinquemila anni fa la ierodulia, la prostituzione sacra, era praticata dai babilonesi. La regola era che ogni donna avesse il dovere di dimorare almeno una volta nel tempio di Isthar, l’Afrodite dei greci, la Venere dei latini, e offrirsi - a pagamento - al primo che la sceglieva. Erodoto, che dedicò qualche pagina alla prostituzione sacra, racconta che donne non particolarmente attraenti potevano aspettare anche anni prima di finalmente e trionfalmente immolarsi alla dea Isthar. Di origine orientale, la ierodulia fu in seguito adottata dalle altre civiltà ed è certo che fosse praticata in Grecia, in specie attorno a Corinto (siccome la «prestazione» aveva un prezzo assai alto, ne nacque, fra i romani, un modo di dire: «Non licet omnibus adire Corinthum», Non è da tutti poter andare a Corinto). Si sa, poi, che era d’uso comune in Italia fin dai tempi arcaici, anche se conobbe il massimo sviluppo sotto Roma (Portovenere pare tragga il suo nome da un tempio, dedicato alla dea, dove si praticava la ierodulia). Come vede, caro Carretta, più che debellarla, nell’antichità la prostituzione la si promuoveva, ammantandola di sacro.
Bisogna poi aggiungere che anche la Chiesa ebbe per secoli un rapporto non esattamente conflittuale con la prostituzione. E non tanto per la benevolenza nei confronti delle Maddalene, non tanto per quel «Scagli la prima pietra...», ma per ragioni etiche. Il matrimonio era ritenuto, infatti, una cosa troppo importante per essere condizionato dall’attrazione fisica o da questa messo in seguito in pericolo. Per cui l’uomo (non la donna: niente par condicio, ai tempi) sfogasse i suoi bassi istinti alla larga da fidanzate e mogli con donne che, ovviamente, non fossero fidanzate o mogli d’altri. Ovvero con le sgualdrine. Non che se ne debbano trarre conclusioni avventate, ma nella Roma papalina le prostitute erano dette, in linguaggio burocratico, «donne curiali». E questo perché alla Curia e precisamente al cardinal Vicario dovevano richiedere la licenza per esercitare e, una volta ottenutala, versare mensilmente la tassa sugli utili. Anche i postriboli erano controllati e tassati dalla Curia.

Che da quell’attività trasse il necessario per erigere l’intero Borgo Pio (quello a ridosso del Vaticano) e per permettere a Leone X, che da buon de’ Medici amava il bello, di tracciare, su disegno del Sangallo, quella che oggi è via di Ripetta e che allora, va da sé, si chiamava via Leonina (subito ribattezzata da Pasquino via Lenonina).

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