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Accordo tra Hamas e Fatah Le prove di pace? Una farsa

Il movimento islamista dà l'ok a elezioni generali I legami con l'Iran. Abu Mazen, successo di facciata

Accordo tra Hamas e Fatah Le prove di pace? Una farsa

A bu Mazen deve dedurre dalla novità che è il capo riconosciuto di tutti i palestinesi? Per carità. Hamas deve mettersi la coda fra le gambe e uggiolare? Ma nemmeno per sogno. Israele e il mondo devono immaginare che adesso si parla di pace? Nemmeno per idea. Eppure Ismail Haniyeh, il capo politico di Hamas, ha annunciato che la sua organizzazione, il gruppo terrorista islamico che domina Gaza e fa capo alla Fratellanza Musulmana, campione di guerre e attacchi terroristici, è pronta a parlare di riconciliazione senza precondizioni e che dissolverà il suo governo. Si formerà un governo di coalizione, si indiranno elezioni legislative e presidenziali, si smetterà di ammazzarsi e di mettersi in galera a vicenda.

Naturalmente la richiesta immediata è che Abu Mazen ponga fine a una serie di sanzioni economiche molto pesanti che si erano abbattute nei mesi scorsi sulla Striscia: gli stipendi dei funzionari amministrativi erano stati ridotti del trenta per cento, l'elettricità era stata tagliata, settemila persone erano andate in prepensionamento, ovvero le loro famiglie erano state condannate alla fame. Hamas non si è dato da fare quest'estate come in genere fa nella calura: incursioni terroristiche, tentativi di rapimenti, esplosioni omicide che negli anni passati sono finiti in guerre... quest'anno non si sono viste. Hamas non ha fatto certo mancare i suoi terroristi all'attacco generalizzato con coltelli, veicoli, armi da fuoco, né le sue lodi e rivendicazioni. Del resto anche Abu Mazen ha glorificato il terrore. Ma non è stata l'attività centrale. Troviamo la spiegazione del nuovo accordo a Teheran: durante l'estate, mentre gli Hezbollah appoggiati con armi e denaro dall'Iran combattevano sul confine Siriano, Hamas cercava una grande prospettiva di rafforzamento nella riconquista di un rapporto con l'Iran. Nell'ambito di una sua larga visione egemonica del Medio Oriente, esso accettava nella grande famiglia anche Hamas col suo nuovo capo, Yahya Sinwar.

Il capo ideologico del riavvicinamento è la primula rossa Muhammad Deif, che, capo militare, ha sempre visto il futuro di Hamas nel rapporto con l'Iran nonostante Teheran sia sciita, e i palestinesi sunniti. Ma gli Ayatollah hanno aperto il portafogli con decine di milioni di dollari, mentre l'Egitto sunnita considera Hamas un nemico del presidente al-Sisi, che ha destituito la Fratellanza musulmana. Dunque Hamas cerca nella quiete con Abu Mazen lo spazio, il tempo per una nuova prospettiva strategica, e per Abu Mazen, astuto ma bisognoso di una lucidatina il conto torna: Hamas, un lupo coi denti affilati, terrà per un po' chiusa la bocca, mentre lui rafforzerà la sua posizione internazionale.

Intanto il suo nemico politico Mohammed Dahlan fa di tutto per mantenere Hamas nell'ambito sunnita, temendo la deriva sciita. Ma Abu Mazen vuole l'accordo per stare tranquillo: ora terrà uno dei suoi discorsi pieni di odio all'Onu, come sempre, mentre tuttavia porge la solita scaletta di corda ai pacifisti di tutto il mondo, e però paga lo stipendio ai terroristi. Niente di nuovo.

Nemmeno il fatto che Abu Mazen non può dimenticare che i suoi uomini nel 2007, quando Hamas prese il potere, furono buttati dai più alti palazzi.

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