Mondo

Affari nell'Artico e addio Califfo Ecco il mondo tra quindici anni

Nel 2030 sarà tutto molto diverso. L'Occidente avrà sempre meno importanza, ma nessuno potrà fare a meno degli Usa

Affari nell'Artico e addio Califfo Ecco il mondo tra quindici anni

Nel 2030, il mondo sarà molto diverso da quello attuale. Oggi è a un punto di svolta. Il dominio che l'Occidente prima europeo, poi americano ha esercitato sul mondo dal 1750 si attenuerà, senza scomparire. Pur non essendo più egemone, rimarrà il pilastro di qualsiasi ordine mondiale. In sua assenza dominerebbe l'anarchia. Nessuna potenza emergente è in grado di proporre una visione del mondo alternativa a quella occidentale.

(...)

L'Asia riprenderà gradualmente il rango che aveva nell'economia mondiale fino al XVIII secolo. La Cina continuerà a esserne la locomotiva. La sua minore crescita non sarà compensata dall'India, che pur la supererà demograficamente nel 2022. L'apertura nell'Artico dei passaggi a nord-est e a nord-ovest ridurrà l'importanza del Mediterraneo.

(...)

Si accrescerà la diffusione di potenza. Aumenterà il divario di ricchezza sia fra gli Stati sia aal loro interno: fra i vincitori e i vinti della globalizzazione (...). In varie parti del mondo i confini tracciati dall'Europa dopo la Prima guerra mondiale o la decolonizzazione saranno contestati. Non rispettano le identità tribali, etniche o confessionali. Nell'Islam, specie nel mondo arabo, la soluzione del Califfato non è accettabile per la comunità internazionale. Probabilmente nel 2030 sarà già scomparsa. Non si sa però che cosa lo sostituirà per tenere a freno al frammentazione.

(...)

L'ordine gerarchico del mondo sarà in parte sostituito da quello orizzontale e «liquido» delle reti; la geopolitica degli spazi da quella dei flussi. Lo «Stato-rete» sostituirà lo «Stato-mercato», che aveva sostituito lo «Statonazione» del XX secolo. La rapidità dei mutamenti, la diffusione di potenza e la disomogeneità fra i grandi Stati renderanno impossibile la pur necessaria governance globale. Ne soffrirà anche la globalizzazione. Essa era sorta nel «momento unipolare» degli USA, dopo la Guerra fredda, e nel breve periodo della pax americana, finita a seguito del parziale disimpegno degli USA e della crescita dei Paesi emergenti, non solo dei Brics, ma anche dei Mint (Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, a cui potrebbe entro il 2030 aggiungersi l'Iran).Il primo scenario del mondo del 2030 è quello ottimista dell'hub and spoke, suggerito da Kissinger. Esso è basato sulla previsione che gli Usa continuino ad essere l'Heartland, il cuore del mondo e che abbiano la legittimità e il consenso interno ed esterno per esserlo. La loro potenza dissuaderà grandi conflitti nelle periferie della massa continentale eurasiatica. La mancanza di egemonia, favorirà la regionalizzazione. Contrasterà nazionalismi e protezionismi. Il mondo sarà multipolare. La disomogeneità degli Stati impedirà un multilateralismo efficace. Pur continuando a essere l'unica superpotenza globale, gli Usa saranno indeboliti dal declino dei loro alleati europei e dalla difficoltà di riattivare la bipartisanship al loro interno, come nella Guerra fredda.

(...)

Gli Usa si faranno di certo promotori di un ordine mondiale più sostenibile politicamente ed economicamente dell'attuale. Rimarranno la potenza indispensabile, il pivot of history. Promuoveranno la creazione di sistemi regionali per ridurre gli impegni diretti. Manterranno gli equilibri degli ordini regionali con un sostegno esterno. Esso dovrebbe funzionare in due modi diversi. Il primo sarebbe quello di un sostegno Usa alla maggiore potenza di ciascuna regione, per rafforzarne l'egemonia. È il caso della Germania in Europa e della Turchia in Medio Oriente. Il secondo consisterebbe nell'adozione di una politica di balance of power, intesa a impedire il sorgere di egemoni regionali. In questo secondo caso, sosterrebbero gli Stati più deboli contro quello più forte. Il primo sistema è meno costoso; quindi verrà preferito quando possibile.

(...)

Un secondo scenario estremo è quello pessimistico, con gli Usa che rifiutano di assumere responsabilità globali. Sarebbero inevitabili nazionalismi e protezionismi, forieri di possibili conflitti anche fra grandi potenze, come l'India e la Cina. Il mondo non sarebbe multipolare, ma apolare e hobbesiano. L'Asia meridionale e quella sud-orientale potrebbero conoscere instabilità come l'Europa della fine XIX secolo. La pericolosità è aumentata dal fatto che nelle due regioni esistono molte dispute anche territoriali, mentre mancano sistemi di sicurezza collettiva. Gli attuali equilibri dipendono dalla presenza americana e dal fatto che il potere del Partito comunista cinese è legato alla crescita economica. Se l'economia entrasse in crisi, sarebbe inevitabile per Pechino una deriva nazionalistica.Fra i due scenari estremi ne esistono altri intermedi. Il nuovo ordine mondiale non sarà rigido. Le alleanze permanenti non sono in grado di sfidare l'imprevedibilità e rapidità dei mutamenti. Saranno sostituite da coalizioni ad hoc, a geometria variabile.

(...)

Tutti ripudiano l'idea che il futuro possa essere strutturalmente diverso dal presente e dal passato. Ma la realtà è diversa. I megatrends, considerati dalla futurologia, sono sempre estrapolazioni di quelli attuali. In taluni settori (demografico, economico, tecnologico, ecc.), tale metodo è valido. In altri, come in quello politico e strategico, è molto meno affidabile. I «cigni neri» più comuni sono: la proliferazione incontrollata di armi nucleari e, soprattutto, la loro acquisizione da parte di organizzazioni terroristiche; il collasso dell'euro e dell'UE; la democratizzazione della Cina; tempeste elettromagnetiche che distruggano le reti satellitari, pilastro portante dell'interconnessione della globalizzazione; il collasso della Russia e il suo assorbimento nelle aree d'influenza tedesca o cinese; cambiamenti climatici; eccetera.Tali eventi vanificherebbero il valore, sempre solo euristico, di ogni previsione.

Il mondo del 2030 assumerebbe allora assetti diversi da quelli ipotizzati in quest'articolo.*docente di geopolitica, Link Campus University

Commenti