Referendum Costituzionale

Allarme rosso a Palazzo Madama: con la vittoria del Sì sarà feudo Pd

La possibile composizione: ai democratici una maggioranza bulgara di 65 senatori su cento. Resta il nodo delle nomine

Allarme rosso a Palazzo Madama: con la vittoria del Sì sarà feudo Pd

Poi dice che uno si butta sul populismo. Per meglio dire: sul «popolo sovrano» (articolo 1 Costituzione vigente).

Ma che razza di Senato sarà quello che potrebbe sbocciare, absit iniuria verbis, all'alba del 5 dicembre con la vittoria del «Sì» a Renzi e Boschi? Di sicuro ognuno dei cento neo-senatori non sarebbe più rappresentante della Nazione (art. 67 Carta vigente), bensì: 95 delle «istituzioni territoriali» e i restanti cinque, nominati dal presidente della Repubblica, non si sa di chi o di che cosa. Univoco il parere dei cultori del diritto: non rappresenterebbero più il «Popolo sovrano» (qualsiasi cosa di teorico o concreto il termine oggi possa significare), ma di enti chiusi, pura espressione di «casta» politica, che si tratti del Consiglio regionale, comunale o della presidenza della Repubblica. In definitiva, rappresenterebbero chi detiene la titolarità della loro nomina (il capo del partito, forse?).

Se questo principio può sembrare alquanto astratto - ma rappresenta un enorme problema giuridico (cfr. sentenza n.1/2014 della Corte costituzionale) - lo è assai meno una simulazione su quale maggioranza verrebbe a crearsi nel misterioso Ircocervo boschi-renziano. Tralasciamo pure il contestatissimo metodo di nomina, gli squilibri tra le Regioni (vantaggiosi per le piccole), il necessario adeguamento degli Statuti speciali che prevedono incompatibilità tra le cariche parlamentari e locali. Quel che emerge, sulla base degli attuali consigli regionali e comunali, è una maggioranza schiacciante del Pd, che conterebbe su 55 senatori, cui andrebbero aggiunti tre autonomisti trentini e due valdostani già alleati. Con i cinque senatori nominati per sette anni da Mattarella, si arriverebbe facilmente a una maggioranza dem di 65 senatori. Una macchina schiacciasassi, considerato che il peso del centrodestra, che pure ha in mano Lombardia, Veneto e Liguria, verrebbe totalmente vanificato (29 seggi, con dominio dei 14 leghisti su forzisti e fratelli d'Italia). Annichiliti i grillini, che potrebbero invece avere mano libera alla Camera, secondo i più recenti sondaggi; nel nuovo Senato si dovrebbero accontentare di sei rappresentanti (la sindaco Raggi sarebbe, tanto per dire, una «numero uno»). Interessante a questo punto considerare come i partiti «fronteggeranno» le forzature di un'elezione così assurda. Facile preconizzare che i complessi tecnicismi suggerirebbero all'opposizione di presentarsi in alleanze «innaturali», pur di strappare qualche seggio in più.

Tra bufale e distorsioni di questa dissennata «voglia di cambiare purché si cambi» c'è poi il peso legislativo del nuovo Senato. Oggi, come dimostrano le statistiche, il problema della «navetta» è stato ampiamente superato, con oltre l'80 per cento delle leggi approvate senza modifiche (in ogni caso è un problema politico, non di sistema). Dovesse vincere Renzi, domani il Senato non si occuperebbe più di dare la fiducia al governo e di controllarlo. Però manterrebbe competenze sulle nomine governative, su una miriade di leggi e leggine che riguardano i rapporti tra Stato, Ue ed enti territoriali; sulle leggi di revisione costituzionale e tante altre. Se a questo si aggiunge la facoltà di chiedere alla Camera modifiche a qualsiasi legge (la Camera può rifiutarsi), ecco un'autostrada aperta verso infiniti conflitti di competenza. Chi li risolve? I presidenti delle due Camere, è scritto nella riforma.

Come noto, due entità sempre d'amore e d'accordo da che Italia è una.

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