Brexit

Andarsene o restare? Questo è il dilemma Certezze e incognite del referendum che deciderà le sorti del Regno e della Ue

Immigrazione ed economia restano i nodi più scottanti di questo voto Se Londra lasciasse Bruxelles, sul tavolo il modello Norvegia

Andarsene o restare? Questo è il dilemma Certezze e incognite del referendum che deciderà le sorti del Regno e della Ue

Andarsene o restare, questo è il dilemma. Lo risolveranno tra ventiquattrore gli inglesi nel primo referendum della storia dell'Unione europea sull'uscita di uno Stato membro (nell'85 toccò alla Groenlandia andarsene senza dividersi dalla Danimarca, ma allora la Ue si chiamava Cee).

Le due opzioni, ormai meglio conosciute come Brexit (British exit), cioè l'uscita, e il suo opposto Bremain (British remain), a favore alla permanenza, non sono prive di incognite e comunque vada modificheranno gli equilibri interni all'Unione europea dall'economia alla politica, dal confine più a nord delle Highlands scozzesi a quello più a sud del nostro Mediterraneo.

Ma quali sono le previsioni? Cosa ci si può aspettare dall'esito di un voto storico non solo per il Regno Unito ma anche per il grande progetto europeo nato con il Trattato di Roma nel '57? Ecco alcuni scenari, le certezze e le opzioni di fronte alle quali si troveranno le istituzioni inglesi e quelle europee all'indomani del referendum.

LA VITTORIA DI BREXIT

Se il Leave vincerà, Cameron invocherà l'articolo 50 del Trattato di Lisbona sull'Unione europea, che detta le regole per negoziare l'uscita di uno Stato membro. I Trattati della Ue cesseranno di essere applicati al Regno Unito solo quando entrerà in vigore l'accordo di uscita oppure entro due anni, a meno che il Consiglio europeo non decida di prolungare i tempi. Londra sarà esclusa dal Consiglio europeo o dagli altri Consigli che prenderanno decisioni sulla sua sorte.

LA VITTORIA DI BREMAIN

Se a vincere sarà il no all'uscita, il premier Cameron, oltre a tirare un sospiro di sollievo, potrà applicare l'accordo chiuso con l'Unione europea lo scorso febbraio dopo un Consiglio europeo lungo due giorni e 40 ore di negoziati ininterrotti. L'intesa prevede che la Ue «farà tutti gli sforzi per rafforzare il mercato interno e per ridurre il carico amministrativo e i costi» per le piccole e medie imprese (competitività). Londra potrà tirarsi fuori dal principio di «Unione sempre più stretta» (sovranità), conserverà uno status speciale in tema di governance economica e potrà limitare l'accesso ai benefit previsti dallo Stato sociale.

L'ECONOMIA

Se a vincere fosse l'addio, i più intransigenti, tra cui il gruppo Economists for Brexit (Efb) suggeriscono di chiudere le relazioni con la Ue e di abolire tutte le tariffe sulle importazioni. Prevedono che il Pil, in questo modo, possa crescere fino al 4%. Gli economisti della London School of Economics dubitano che la decisione possa avere un impatto così rilevante. L'altra strada, più alla portata, sarebbe invece quella di seguire il modello norvegese, cioè aderire allo Spazio economico europeo (See). Per poterlo fare, però, Oslo ha garantito in cambio alla Ue il rispetto di quasi tutti i regolamenti europei, pur non avendo alcuna voce in capitolo nella loro stesura. Una condizione che difficilmente Londra accetterebbe dopo la bagarre sull'autonomia da Bruxelles. Tra l'altro, per poter aderire all'accordo See, l'Ue potrebbe porre la condizione di lasciare inalterato il principio di libera circolazione delle persone. Se Londra accettasse, finirebbe per contraddire uno dei pilastri della sua campagna per l'addio a Bruxelles. Ma se rifiutasse, le trattative con Bruxelles si complicherebbero.

Se a vincere fosse il «no» alla Brexit, Londra manterrebbe lo status speciale concordato da Cameron a febbraio : autonomia per banche, assicurazioni e istituzioni finanziarie della City dal «single rulebook» europeo, cioè dalle regole che accomunano tutti i Paesi aderenti al mercato unico. Il Regno Unito resterebbe, come da sempre, fuori dall'eurozona e terrebbe la sterlina.

L'IMMIGRAZIONE

Voltare le spalle a Bruxelles, secondo il fronte pro-Brexit, sarebbe la più importante conquista di Londra in questo referendum, perché vorrebbe dire riprendere completamente il controllo delle proprie frontiere. Anche il leader del Labour Jeremy Corbyn, nei giorni scorsi, ha ammesso che sarebbe impossibile mettere un tetto all'immigrazione se si restasse nella Ue. Di fatto il Regno Unito, insieme con l'Irlanda, è uno dei Paesi che ha aderito solo parzialmente allo Spazio Schengen e ha perciò mantenuto i controlli alle frontiere. Ma se il Regno Unito scegliesse la Brexit, non necessariamente questo vorrebbe dire riprendere il controllo dei propri confini. La Ue, infatti, come ha già fatto con la Norvegia, potrebbe porre come condizione di eventuali accordi economici, il mantenimento della libera circolazione delle persone.

Restare nell'Unione europea farebbe invece scattare uno dei punti principali dell'intesa con Bruxelles, quello del cosiddetto «freno d'emergenza». Si tratta del principio in base al quale, in situazioni eccezionali, Cameron ha ottenuto che «la libertà di movimento dei lavoratori» possa essere limitata. Riguardo al welfare per gli immigrati, l'accesso al sistema potrà essere concesso gradualmente nell'arco di 4 anni, limitando in questo modo la possibilità di poter ottenere benefit immediati, un'opzione che oggi attira molti lavoratori dal continente.

LA POLITICA

Cameron su o Cameron giù? Questo è l'altro dilemma. Perché se Londra resterà nella Ue nessuno ha dubbi sul fatto che il primo ministro resterà in sella, anche se i parlamentari Tory che non hanno gradito la sua campagna elettorale per il Remain potrebbero fargliela pagare cercando di fargli mancare la risicata maggioranza assoluta di cui gode per soli 12 deputati. Se invece a farcela fosse la Brexit, le cose si complicherebbero parecchio. Nonostante gli avversari interni Johnson e Gove abbiano detto che, qualunque sia il risultato, Cameron potrà restare in sella (e lui stesso ha confermato che lo farà), il premier sarebbe in grave imbarazzo e avrebbe non poche difficoltà. In molti non lo considerano affidabile per le trattative sui futuri rapporti di Londra con la Ue.

L'UNITÀ DEL REGNO

Già lacerato da un altro referendum, quello in cui gli scozzesi scelsero nel settembre 2015 se restare parte del Regno Unito o prendere la via dell'indipendenza (e alla fine decisero di restare), il Paese rischia di esplodere (o meglio implodere) se a spuntarla fosse la Brexit. Il sentimento pro-Ue prevale nettamente in Scozia, Irlanda del Nord e Galles ed è invece prevedibilmente più basso in Inghilterra. Ma l'addio a Bruxelles potrebbe risvegliare in alcune aree del Paese il sentimento anti-britannico. La Scozia tornerebbe a chiedere un voto sulla secessione e il Regno tremerebbe su un altro caso.

Oggi la Repubblica d'Irlanda (indipendente) e l'Irlanda del Nord (sotto la sovranità britannica) sono entrambe parte dell'Ue, tra i due confini non esistono più controlli e la spinta alla riunificazione dell'isola è sopita. Il ripristino di una barriera fisica potrebbe risvegliare l'incubo del nazionalismo repubblicano e il fantasma del terrorismo.

Commenti