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Argentina, torna lo spettro default Trionfo amaro del peronista Fernandez

Sommerso dai debiti, il Paese rischia l'iperinflazione a breve

Argentina, torna lo spettro default Trionfo amaro del peronista Fernandez

San Paolo Torna il peronismo in Argentina ma i problemi sono quelli di sempre. Poco prima dell'incontro di ieri tra il neo presidente Alberto Fernández e l'uscente Mauricio Macri per il complicato passaggio di consegne tra i due del prossimo 10 dicembre, la Banca Centrale argentina (Bca) fissava infatti a 200 dollari il limite massimo mensile per i prelievi in valuta straniera. Partiamo da questo dato per capire che l'Argentina, dopo lo scontato ritorno al peronismo nella sua versione kirchnerista, da oggi deve affrontare lo spettro del default perché sommersa di debiti, con un unico creditore, il Fmi, che gli ha concesso un prestito record da 57 miliardi di dollari e un numero di riserve in valuta forte ridotto al lumicino. La Bca giustificava proprio con l'intento di «proteggere le riserve» l'introduzione del limite, ridottissimo se si pensa che nel Paese il costo della vita è poco inferiore all'italiano e lo stipendio pro capite medio è pari a 200 euro. Peccato solo che se il cambio ufficiale ieri ha reagito bene alla vittoria di Fernández e la sua vice Cristina Kirchner, mantenendosi intorno ai 60 pesos per dollaro, si scatenavano quasi in sincronia in centro di Buenos Aires, gli «arboritos», i cambiavalute illegali. Era da quattro anni che non si sentivano gridare con così tanto ardore «cambio, cambio, cambio!». Ma soprattutto con una quotazione che superava i 75 pesos per dollaro, giusto per far capire a tutti, turisti compresi, che il limite dei 200 dollari era solo un «pro forma», proprio come nel 2015, quando Cristina sforava l'8% nel rapporto deficit-Pil per mantenersi al potere sussidiando luce, gas e quando il suo governo fissava i prezzi «giusti» di carne e verdure come a Caracas e il cambio ufficiale con il dollaro Usa era la metà del «blue» (così gli argentini chiamano il cambio nero).

Le prossime settimane saranno decisive per capire che fine farà l'Argentina ma, a detta degli economisti Aldo Abram, Javier Milei e Domingo Cavallo, il rischio maggiore è l'iperinflazione. Non una novità se si pensa che Raúl Alfonsín, il primo presidente del dopo dittatura, fu costretto a lasciare il potere al peronista Menem con 6 mesi d'anticipo per i prezzi fuori controllo. Del resto, se dovesse arrivare «incolume» al 10 dicembre, per Macri sarebbe già comunque un record. Dal ritorno della democrazia nel 1983, sarebbe il primo non peronista a «riuscire nell'impresa». Oltre ad Alfonsín, Fernando de la Rúa fu costretto a fuggire in elicottero dalla Casa Rosada per evitare la folla imbufalita a fine 2001.

Cristina, in partenza per Cuba e ormai «sepolti dalla vittoria» i 5 processi che la vedono imputata, ieri era la più felice di tutti, persino di Alberto.

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