Afghanistan in fiamme

"Assurde le frasi di Letta. Certo che la democrazia si può esportare anche in Afghanistan"

L'ex ministro della Difesa del governo Berlusconi promosse la missione internazionale a Kabul: "Il segretario Pd lo spieghi a quella popolazione che andò a votare in massa senza imposizioni".

"Assurde le frasi di Letta. Certo che la democrazia si può esportare anche in Afghanistan"

Antonio Martino, professore ed economista liberale, allievo di Milton Friedman, è stato ministro Difesa dal 2001 al 2006 negli anni in cui l'Italia decise di partecipare alla missione internazionale in Afghanistan.

Professor Martino, lei conosce bene il teatro afghano. Si aspettava che la missione internazionale potesse avere questo esito?

«Sono sempre stato consapevole dell'enorme complessità di questa missione. Quando dichiarai che quella afghana rappresentava una realtà molto più complessa di quella irachena molti a sinistra sorrisero, ma basta conoscerne il territorio per comprendere la veridicità di questa affermazione. Arrivando con l'aereo si ha l'impressione di atterrare sulla Luna, è un terreno brullo, accidentato, ha una conformazione geologica assurda, è un Paese con tante etnie e lingue diverse. Allora aveva 47 eserciti privati guidati dai signori della droga che controllavano il mercato degli oppiacei a livello mondiale, un commercio reso quantomai fruttuoso dal proibizionismo».

Quale fu il suo impatto con il governo locale?

«Incontrai il mio omologo, un uzbeko, che era stato a capo della più importante di queste milizie private, una volta entrato al governo metà la trasferì nella polizia, metà nell'esercito. Gli dissi che sarei stato grato se ci avesse aiutato ad assicurare alla giustizia gli assassini di Maria Grazia Cutuli. Mentre lo sentivo parlare mi sembrava purtroppo di ascoltare certi personaggi della mia Sicilia».

Per Enrico Letta l'esperienza afghana insegna che non si può esportare la democrazia.

«Mi sembra assurdo che il segretario nazionale del Pd non sappia che la democrazia è una aspirazione universale propria di tutti i popoli, è stupido e insensato dire che non la si può esportare. Dovrebbe spiegarlo agli afghani e alle afghane che sono andati in massa a votare, certo non glielo abbiamo imposto noi. Il padre di Letta è stato un importante matematico, professore di calcolo delle probabilità. Suo figlio dovrebbe conoscere il calcolo delle probabilità oggettive».

I soldati italiani come si adattarono alla realtà afghana?

«Fecero come sempre un lavoro straordinario. Partecipammo a Enduring Freedom e alla missione ISAF. Mandammo gli alpini della Brigata Julia, una vera e propria eccellenza, in zone ad altissimo rischio. In quell'occasione mi resi conto del grande valore del Sismi guidato dal generale Nicolò Pollari, maltrattato dalla sinistra ma persona di grande valore. Gli alpini arrivarono al confine con il Pakistan per via aerea e poi procedettero via terra, ma i camion con le provviste e il vestiario vennero derubati. Pollari in 24 ore riuscì a recuperare tutto. È stato ineccepibile in tutte le situazioni difficili. Credo, comunque, che nessuno alla Difesa abbia vissuto cinque anni più impegnativi dei miei».

Per quale motivo?

«Ci ritrovammo contemporaneamente ad avere il comando della missione in Bosnia, di quella in Kosovo, alla frontiera tra Israele ed Egitto oltre che in Afghanistan, dove eravamo divenuti indispensabili per la coalizione. Avemmo la fortuna di far conoscere le migliori truppe che esistono nel mondo, a partire dagli alpini che sono eccezionali, proseguendo con i Carabinieri che uniscono la capacità militare e quella civile come polizia giudiziaria, individuati come una eccellenza dal segretario della Nato Lord Robertson. Agli Esteri ho conosciuto molti diplomartici geniali, ma il valore medio delle forze armate italiane, il loro senso del dovere e dell'onore è rarissimo da trovare altrove».

Le colpe di questa exit strategy statunitense così disastrosa su chi vanno fatte ricadere?

«Su Barack Obama, che è stato di gran lunga il peggior presidente della storia degli Stati Uniti. È stato lui a volere il ritiro e lo ha annunciato dando la possibilità ai talebani di rafforzarsi, di poter trattare da una condizione di forza e poi di poter attaccare non appena le truppe Usa sono andate via. Poi certo Biden quando ha detto davanti alle telecamere che è stata colpa sua ha detto una cosa giusta perché il suo contributo è stato importante. Se non si fosse ritirato non avrebbe gettato fango sulle forze armate statunitensi e non avrebbe compiuto una mossa da opportunisti di terzo livello. Ma la colpa storica è di Obama».

C'è qualcosa che sarebbe ancora possibile fare?

«Mi sembra un patatrac difficilmente rimediabile, anche tornando sul territorio con decisione sarebbe un problema riuscire a liberare il Paese, anche perché l'Afghanistan, dove già sono caduti i sovietici, è un teatro di guerra che favorisce le truppe irregolari. Ripeto: nel teatro afghani gli italiani hanno fatto un grande lavoro dimostrando di essere i migliori soldati. Ricordo che a Herat un giovane capitano napoletano del Genio in 45 giorni aveva trasformato un acquitrino in abitazioni e rimesso a posto l'aeroporto. Vedere questi soldati all'opera davvero restituisce l'orgoglio di essere italiano. Ricordo che quando incontrai il re dell'Afghanistan mi disse che dopo aver letto e studiato tanto era arrivato alla conclusione che quella italiana fosse la più grande civiltà della storia dell'umanità. Mi disse che quello che gli italiani avevano fatto per l'Afghanistan non lo avrebbero mai più dimenticato».

C'è chi sostiene che quanto accaduto metta in discussione le ragioni stesse della Nato. Cosa ne pensa?

«È una cretinata, la Nato però deve cambiare, una volta il rischio era l'Urss, era una alleanza difensiva ed esclusiva, uno strumento per contrastare il potere del Patto di Varsavia. La Nato ora deve diventare inclusiva e questa è la grande intuizione della politica estera di Silvio Berlusconi culminata nel vertice di Pratica di Mare e deve includere la Russia. Ai miei tempi ho avuto ottimi rapporti con il mio omologo russo Ivanov, così come ho conosciuto Putin. Sono tutti uomini ex Kgb, ma qualitativamente formidabili».

Pensa che la Cina e la Russia possano allargare la loro sfera di influenza all'Afghanistan?

«La Russia potenzialmente può stare dalla nostra parte, ma l'Ue purtroppo con le sanzioni ha creato un nemico artificiale. La Cina invece è un altro discorso, è pericolosissima, ha influenza ormai su quasi tutta l'Africa e tra non molto controllerà i due terzi degli abitanti del pianeta. L'Afghanistan non è un elemento geopolitico trascurabile, è uno snodo fondamentale della via della Seta, è il passaggio attraverso cui i cinesi possano arrivare in Europa, e non parlo solo di guerre commerciali.

È un rischio ipotetico e lontano, naturalmente, ma la Cina è anche una potenza nucleare e questo non va sottovalutato».

Commenti