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La banda della piazzetta. Sei bambini salvati da tre gattini trovatelli

Alle tre di notte erano nel parco per cercare un rifugio ai cuccioli. Ed è crollato il paese

La banda della piazzetta. Sei bambini salvati da tre gattini trovatelli

da Ascoli Piceno

«Avevamo trovato 'sti tre gattini e non sapevamo dove metterli. Allora alle tre de' notte abbiamo detto: andiamo un po' in giro e li lasciamo al parco, lì se ne stanno bene. Poi è arivato il macello». Lorenzo, tredici anni quasi quattordici, e i suoi amici sono i ragazzi della piazzetta di Pescara del Tronto. Di quello che era la piazzetta, prima della distruzione. La comitiva mista formata da indigeni e turisti, i romani che portano il sapore della città, che hanno il Wi­Fi e parlano del Colosseo come se fosse una panchina, per loro è normale, e i montanari, come Lorenzo, che li guardano con invidia ma senza ossequio, perché sanno di aver dalla loro un privilegio che nessun bambino metropolitano ha: il possesso degli spazi selvaggi.

Un gruppetto che a Pescara del Tronto ad agosto arrivava a 20­25 ragazzi, tra i dodici e i diciannove anni, la banda dell'estate, l'adolescenza nell'angolo di un paese minuscolo tra il Vettore e la Salaria, aria buona e un libertà sconfinata, un'isola di Arturo a 800 metri di altezza. Strade piccole, cielo e montagna, fare cose stupide e tenere e pure importantissime anche nel cuore della notte, come sistemare a buio pesto quei gatti trovatelli.

Otto ragazzi, tre gattini e l'inferno che sale dalla terra. «È stato un rombo fortissimo, arrivava da Accumoli», prende il respiro Lorenzo, svelto e moro, gambe da fenicottero e parlata romanesca per metà. Guarda le bare che sfilano dopo il funerale di Ascoli. Poi inizia. Lorenzo che si butta su Rachele e la strappa da quei centimetri che l'avrebbero uccisa, un balcone che piomba addosso e si porta via Arianna e Tommaso. «L'ho acchiappata perché ho visto il cemento che crollava». Davide che infila la testa sotto la macchina e che con il corpo copre Lorenzo e altri due. «Un eroe», ne parlano. «Ma che eroe», ride Lorenzo. Perché si fa beffa anche di se stesso quando gli dicono che è un bambino eccezionale, che ha salvato un'amica, e quando racconta di come la mamma della ragazzina lo ha ringraziato piangendo, dice: «Me stava a tirà 'na pigna!».

Otto ragazzini, sei vivi, Arianna e Tommaso travolti. E i vivi chissà se lo sarebbero, se non fossero partiti per quella missione felina nel cuore della notte. «I gattini non so dove se ne sono scappati. E invece ­ si ferma Lorenzo ­ Mi sono morti cinque zii e mi nonna». Si è rotto il pollicione del piede, Lorenzo, e ora pensa agli allenamenti del 15 di settembre anche se zoppica, la sua casa è una tenda e le scarpette non le ha. «Il palazzetto di Borgo ha retto» alza le spalle. «Il 19 c'è la partita», lo informa Francesco, di un anno più piccolo, un mingherlino dagli occhi che guizzano. E la scuola? «È venuta giù», ridono, con la leggerezza di un età magica che rende immuni dalle paure dei piccoli e dall'amarezza dei grandi. Riescono a parlare di particolari un po' macabri, ma poi sanno anche piangere. E prendono in giro proprio Francesco, che quella motte, alle tre e mezzo di notte, giocava alla play station nella sua cameretta, e ha continuato anche con il terremoto. «Non pensavo fosse così forte», arrossisce il giocatore incallito. «Mi ha chiamato mia madre entrando in camera di corsa per portarmi via. Poi sono inciampato nelle scale». Intorno il suo paese andava in pezzi. Lorenzo si guarda soddisfatto la fascia al pollicione. «A Pescara comunque ci vogliamo restare. A noi due i nostri padri le case ce le hanno costruite bene.

Pescara per me se può rifare».

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