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Bombe e tank, invasione turca Già in fuga 60mila civili curdi

Raid e carri armati sui villaggi del Nord Est siriano Ankara: «Liberati dai terroristi, uccisi 109 militanti»

Bombe e tank, invasione turca Già in fuga 60mila civili curdi

Le truppe di terra turche hanno proseguito la loro offensiva contro le forze curde nella Siria nord-orientale. Hanno conquistato villaggi e continuato i raid aerei sulle città siriane vicino al confine. Decine di migliaia di persone sono in fuga. Almeno 10 civili sono morti nelle ultime 24 ore. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha precisato che 109 militanti sono stati uccisi nell'operazione contro le forze curde, che Ankara accusa di terrorismo.

Ci sono stati anche attacchi turchi sul nord dell'Irak, per impedire al Pkk curdo di aiutare i loro nella zona in guerra. I curdi accusano Ankara di aver bombardato una prigione in cui sono detenuti miliziani Isis, per spingerli alla fuga. Altri raid ci sono stati sull'area di Ras al-Ayn, l'altro punto dell'offensiva di Ankara, distante circa 120 chilometri da Tal Abyad. Trump invece continua a lanciare avvertimenti molto espliciti alla Turchia. «Seguo la situazione da vicino. E se non agirà secondo le regole la Turchia sarà colpita molto duramente finanziariamente e con delle sanzioni», ha tuonato su Twitter. Erdogan ha invece avvertito l'Europa. «Se ostacoleranno l'operazione militare, Ankara aprirà le porte a 3,6 milioni di rifugiati», verso il Vecchio Continente.

Bruxelles ha preso posizione netta contro l'invasione, che teme si trasformi in un massacro. Per questo Ankara ha voluto precisare, in una lettera al Consiglio di Sicurezza Onu, che «nell'operazione Fonte di pace vengono presi di mira solo rifugi, ripari, postazioni, armi, mezzi ed equipaggiamenti che appartengono a terroristi del Pkk/Pyd-Ypg e dell'Isis». Il governo respinge anche le denunce delle Forze democratiche siriane a guida curda che accusano Ankara di aver colpito civili.

La comunità internazionale è però sempre più preoccupata. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è riunito ieri su richiesta di Gran Bretagna, Francia, Germania, Belgio e Polonia, per discutere di quanto sta accadendo. E Italia e Francia hanno convocato gli ambasciatori turchi nei rispettivi Paesi. Ma ciò che fa più discutere è la decisione americana. Secondo molti analisti gli Usa stanno cercando di ritirarsi dal Medio Oriente da anni. La politica di Trump non è poi così diversa da quella di Barack Obama. Secondo molti però è chiaro che Trump ha la volontà di rompere alcune alleanze un tempo chiave per l'America. La Nato ad esempio, o quella con i curdi siriani, suo partner fondamentale nella lotta contro l'Isis. Oggi scaricati dal presidente: «Non ci hanno aiutato nella Seconda guerra mondiale, non ci hanno aiutato in Normandia». La differenza con Obama, secondo diversi osservatori, è soprattutto nello stile più che nella sostanza. E all'interno dell'amministrazione, dopo il voltafaccia ai curdi, sono preoccupati dalla eventualità in cui gli Stati Uniti avessero necessità di trovare nuovi alleati in caso di altri gravi conflitti regionali o globali.

Mostra le sue perplessità sulla politica di Trump anche Jasmine El-Gamal consigliere per il Medio Oriente al Pentagono durante l'epoca Obama. «Semplicemente non si sa da che parte del letto si sveglierà il presidente e che cosa dirà», chiosa decisa. Ma c'è anche un altro problema ora che gli Stati Uniti si sono ritirati: le forze iraniane e quelle appoggiate da Teheran in Siria rappresentano un rischio sempre maggiore per Israele.

Cruciale è anche il ruolo della Russia. Le operazioni turche potrebbero essere state coordinate con Mosca. Lo scopo potrebbe essere spingere gli Stati Uniti a uscire dalla Siria. Il presidente russo Vladimir Putin, il principale sostenitore del presidente siriano Bashar al-Assad, ha invitato Erdogan in una telefonata «a non danneggiare gli sforzi globali per risolvere la crisi siriana». Ma si combatte una guerra anche interna in Turchia.

A meno di 24 ore dall'inizio dell'avanzata militare nel nord-est della Siria, è scattata nel Paese una dura repressione interna contro i commenti ostili all'offensiva.

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