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Bombe turche sui giornalisti. E Assad schiera le sue truppe

L'esercito di Ankara avanza, i militari siriani pronti a difendere Kobane e Manbij. Putin cerca la mediazione

Bombe turche sui giornalisti. E Assad schiera le sue truppe

Il caos creato dall'incursione della Turchia nel Nord della Siria è fuori controllo. La fuga di massa da un campo che ospita donne e bambini legati all'Isis e una serie di omicidi lungo la strada da parte di miliziani siriani che combattono a fianco delle truppe turche sono soltanto gli ultimi elementi. La Siria sta diventando una terra di nessuno e di morte. Tanto che i curdi hanno deciso il tutto e per tutto e hanno chiesto aiuto alla Russia. Ieri si sono accordati con Vladimir Putin per consentire all'esercito governativo siriano di entrare in due località chiave nell'Est siriano, ancora controllate dalle forze curde, ed evitare che finiscano nella mani dei turchi e dei miliziani arabi alleati. Le truppe di Damasco sono pronte a penetrare a Manbij e a Ayn al-Arab (il nome arabo di Kobane).

Però il pericolo degli jihadisti rimane. Secondo quanto riferiscono le autorità curde, la loro fuga è avvenuta dal campo di Ayn Issa, nel Nord della Siria, circa 35 km a Sud del confine turco, dove ci sono 12mila persone, anche mogli e vedove di combattenti dell'Isis con i loro figli. I detenuti avrebbero attaccato le guardie e distrutto le recinzioni del campo. «Ayn Issa è nel caos», hanno spiegato i curdi. Gestire i prigionieri dell'Isis è diventato impossibile. L'offensiva turca ha costretto anche 130mila persone a fuggire dalle proprie case.

Ma il presidente turco Recep Tayyip Erdogan continua nella sua offensiva. Ieri ha dichiarato che le sue forze alleate hanno preso il controllo della città-chiave di confine Ras al-Ain e hanno assediato la città di Tal Abyad, a circa 120 km di distanza. Entrambe le aree sono obiettivi chiave dell'offensiva. Ma la resa dei curdi, se non interviene qualcuno dall'esterno, è inevitabile. Anche perché gli Stati Uniti si stanno preparando a evacuare i loro mille soldati da tutto il Nord della Siria nei tempi più rapidi possibili. A rivelarlo in un'intervista tv è il segretario alla Difesa, Mark Esper. «Se rimanessimo nel Paese - ha chiarito - rimarremmo intrappolati tra due forze armate che avanzano, una situazione insostenibile». Ha poi raccontato di aver parlato con Trump la scorsa notte e con tutti i membri del consiglio per la sicurezza nazionale. Alla fine dell'incontro il presidente ha dato l'ordine del ritiro.

Senza più lo scudo americano e con i guerriglieri curdi in difficoltà, sono i civili a essere presi di mira. Almeno un giornalista straniero è stato ucciso e altri sono rimasti feriti in un bombardamento di artiglieria dell'esercito turco. Il giornalista, di nazionalità curda, si trovava a bordo di un pulmino con altri colleghi stranieri non lontano dalla zona del fronte. Forse altri due giornalisti stranieri sono stati uccisi nello stesso raid, ma ancora non ci sono conferme.

Sabato invece è stata trucidata una nota attivista politica, segretaria generale del Partito Futuro siriano e attivista per i diritti delle donne. Hevrin Khalaf, 35 anni, è tra i 9 civili giustiziati a sangue freddo dai miliziani filo-turchi. Khalaf e il suo autista sono stati assassinati a colpi di arma da fuoco sull'autostrada M4 dopo essere stati fatti scendere dalle loro auto da milizie sostenute dalla Turchia. Khalaf aveva lottato anche in prima linea per una transizione democratica della Siria e per un paese inclusivo e rispettoso dei diritti delle minoranze, un modello ben diverso dall'impostazione del partito Baath.

Ma le forze democratiche siriane a guida curda non hanno dubbi sull'assassinio di Khalaf: «Questo fatto dimostra che in quest'invasione delle forze turche non si fa nessuna differenza tra soldati, civili e politici».

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