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Brexit, la frustrazione degli europeisti britannici

Piazza oceanica ma prospettive a zero: la politica non appoggia nuovi referendum

Brexit, la frustrazione degli europeisti britannici

Una marea umana nelle strade del centro di Londra, la consapevolezza che l'opposizione alla Brexit è una faccenda di grandi numeri, la conferma che per tantissimi giovani il sentimento di essere stati defraudati di un futuro all'altezza di aspettative degne del XXI secolo è doloroso al punto di volersi impegnare di persona per recuperarlo. L'oceano (700mila persone sono davvero un oceano) di manifestanti dietro le bandiere blu con le dodici stelle dell'Unione Europea è stato qualcosa di più di una dimostrazione di forza: è stato una dichiarazione d'intenti e una sfida politica a una realtà troppo amara per subirla passivamente.

Ma adesso? Cosa possono fare i tantissimi britannici che vorrebbero impedire che il prossimo 29 marzo il Regno Unito scivoli fuori dall'Ue? Poco o niente, questa è la verità. E questo per tre ragioni fondamentali.

La prima è che sulla Brexit si è già votato democraticamente il 23 giugno 2016 e che pretendere di replicare il referendum significherebbe togliere valore al primo come all'eventuale secondo. Non avrebbe senso pretendere di dare a un secondo referendum più efficacia che al primo: sarebbe come dire che si deve votare e rivotare fino a raggiungere il risultato voluto. E da chi?

La seconda obiezione riguarda la richiesta alternativa degli avversari della Brexit: tenere un voto popolare sull'intesa finale che il governo di Londra raggiungerà con Bruxelles. Insomma, un referendum mascherato sulla Brexit, di incerta legittimità e oltretutto reso ancor meno opportuno dal caos che potrebbe generare. Non si può fare, e lo conferma il fatto che i politici di primo piano si sono tenuti alla larga dalla manifestazione di sabato. In Inghilterra esiste ancora la consapevolezza che le decisioni politiche si prendono con le legittime procedure e non in base al numero dei dimostranti che scendono in piazza.

La terza considerazione critica riguarda un dato di fatto che gli europeisti d'Oltremanica sottovalutano: la spaccatura quasi a metà tra europeisti e sovranisti britannici rimane, e non mancherebbe di rimanifestarsi in un prossimo referendum, quale che fosse la sua forma. In altre parole, una vera maggioranza per rimanere nell'Ue non esiste, e sottolineare con una chiamata alle urne comunque discutibile le divisioni profonde dell'opinione pubblica sul tema non sembra una buona idea.

Resta da ricordare, d'altra parte, che più di una volta è accaduto che referendum tenuti in Paesi europei che avevano dato esiti negativi per Bruxelles sono stati ripetuti: avvenne in Danimarca (1992), in Irlanda (2001 e 2008), in Francia e nei Paesi Bassi nel 2005. In tutti questi casi - a proposito della prima obiezione - si ritenne che valesse la pena di riproporre il quesito referendario con qualche modifica.

Ma nel mondo politico britannico non la pensano così.

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