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La Brexit è allo sprint finale (con un altro rinvio in vista)

Ottimismo tra i leader Ue e il premier inglese per il vertice di oggi a Bruxelles. Ma serve l'ok di Westminster

La Brexit è allo sprint finale (con un altro rinvio in vista)

«Le basi di un accordo ci sono», dice nel pomeriggio il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. «I fondamentali dell'intesa sono pronti» e potrebbero finire già oggi sul tavolo dei leader europei, al summit di Bruxelles in cui l'intesa dovrebbe ricevere la benedizione dei leader europei. Eppure, dopo la dichiarazione di Tusk, le trattative vanno avanti per ore e ore, segno che l'accordo sulla Brexit tra i funzionari britannici e quelli europei è davvero a un passo. Ma non è ancora concluso e definito. I due ostacoli sono noti: il confine irlandese, cioè il luogo in cui si svolgeranno i controlli doganali, probabilmente il Mare d'Irlanda, un'opzione che in passato Boris Johnson definì «una mostruosità» e «un abominio costituzionale», ma che ora difende. E poi l'altro scoglio: la possibilità che le autorità nordirlandesi abbiano voce in capitolo, un diritto di veto a cui punta il Dup, il partito degli unionisti del Nord Irlanda cruciale in questa trattativa.

«Siamo negli ultimi metri del negoziato», dice ottimista la cancelliera Angela Merkel in tarda serata. «Esiste la possibilità di ottenere un buon accordo ma non ci siamo ancora», conferma Johnson. «Voglio credere che un accordo possa essere approvato domani (oggi, ndr)», rincara il presidente francese Emmanuel Macron. È l'eterna giostra a cui ci ha abituato questa Brexit. Con il ticchettio dell'orologio che incombe. Perché ancora prima del 31 ottobre, data fissata per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea e che potrebbe ancora nuovamente slittare - come ha ammesso per la prima volta lo stesso primo ministro Boris Johnson «se l'accordo non sarà raggiunto» - c'è un'altra data decisiva e imminente: il 19 ottobre, cioè sabato. Dopodomani il Parlamento britannico si riunirà per la prima volta di sabato dai tempi della guerra delle Falkland e dovrà dare l'eventuale benedizione all'intesa - se davvero ce ne sarà una di massima, anche solo una dichiarazione politica - oppure il primo ministro dovrà chiedere una proroga (la terza) come gli impone il Benn Act votato a inizio settembre dall'Aula.

Tutto è pronto per il «Super Sabato». Perché alla fine tutto dipenderà dall'ultima parola che avrà il Parlamento britannico, in questi ultimi tre anni capace di affondare per tre volte le precedenti intese concluse dall'ex premier Theresa May. Resta sempre quella la partita decisiva, ora che Johnson sembra aver escluso di voler trovare stratagemmi per forzare il No Deal. Se si trovasse la maggioranza di fronte all'intesa di massima che dovrebbe emergere dal summit di Bruxelles di oggi, a quel punto un vertice straordinario in sede europea a fine ottobre si occuperebbe della delibera finale sull'accordo. Se invece dai parlamentari non arriverà il via libera, Johnson è probabile che chieda prima un voto per uscire il 31 ottobre senza accordo (una battaglia già persa), per poi dirottare sul rinvio. Il problema restano i numeri per un primo ministro che non ha una maggioranza. Riuscirà a portare dalla sua, oltre che gli unionisti nordirlandesi del Dup, anche i ribelli Tory che ha cacciato dal partito e i deputati laburisti più favorevoli alla Brexit, oltre che quelli convinti che il No Deal vada evitato a tutti i costi? Chissà. Intanto i Remainers, Liberaldemocratici in testa, spera di far passare sabato una mozione per un secondo referendum. Sarebbe il gioco dell'oca. Si tornerebbe al via.

Mancano 14 giorni alla Brexit.

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