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Bruxelles fa solo promesse. E Macron chiude ai finti rifugiati

Il presidente francese: "No agli immigrati economici". Gentiloni: siamo al collasso, chiedo aiuti concreti

Bruxelles fa solo promesse. E Macron chiude ai finti rifugiati

C'è il furbo semplice, che fa ben sperare. «Non possiamo abbandonare Italia e Grecia - dice il presidente Ue, Jean Claude Juncker, alzando i toni poco sotto l'inverosimile - e dobbiamo compiere sforzi per sostenere queste due nazioni eroiche con i rifugiati».

Siamo eroici, bene. Nessuno ce l'aveva mai detto, finora, lassù nell'Europa che conta. Stanno forse cominciando a capire, o almeno lo si spera, perché finora si voltavano di spalle, di scatto, appena sentita la litania dei «migranti che arrivano» e della frontiera Sud che batte cassa per sostenere l'impatto. Al vertice di Tallin, cui parteciperanno i ministri dell'Interno Ue mercoledì prossimo, vedremo la «concretezza» degli aiuti che il nostro premier Gentiloni (ancora una volta) ha chiesto ieri a Berlino, in un pre-vertice informale e forse nel modo più giusto per scuotere coscienze per decenni impassibili. Persino la Germania, dopo un caloroso abbraccio della Merkel a Gentiloni, pare aver mutato animo: «Aiuteremo l'Italia, perché ci sta a cuore». Ma nel frattempo sembra cambiato pure il clima interno. Merito delle opposizioni, che ora vengono sentite dal premier e giocano un ruolo costruttivo («La mossa di bloccare le navi Ong non italiane - ricordava ieri il forzista Romani -, è un nostro suggerimento: troppo comodo trovare un approdo certo e sicuro unicamente in Italia»). E merito anche del ministro Minniti, grande esperto di flussi migratori e poco incline a fare la parte del sordomuto «all'Alfano». (Pure ieri, in un convegno a Milano, il ministro ribadiva due concetti chiave: che «il tempo delle parole si è consumato» e che «l'accoglienza ha un limite nella capacità d'integrazione»).

Ma poi c'è anche il furbo complesso, quello che alimenta sospetti e genera disincanto. «La cooperazione al confine con l'Italia è esemplare - dice il presidente francese Emanuel Macron -. Ma non confondiamo troppo le cose, tutti i Paesi devono dare un contributo per i rifugiati per motivi politici, poi ci sono i migranti per motivi economici... L'80 per cento dei problemi posti da Gentiloni viene da migranti economici. Dobbiamo organizzarci collettivamente ma non è che non rispettiamo i nostri valori e principi... Se confondiamo queste realtà tutti i nostri Paesi patiranno situazioni incontrollate». Ergo: umanità per chi chiede asilo, fermezza e respingimenti per gli altri, come si è visto nei boschi di Ventimiglia. Così parla la Francia multietnica di Macron, nuovo faro di civiltà.

Resta un problema: come distinguere il richiedente asilo dal migrante economico sui barconi, mentre stanno soffocando di stenti, o in mare, mentre annegano? Questo Macron non lo dice, e speriamo che la distinzione non diventi l'alibi di chi vorrà tirarsi indietro. «Non accontentatevi delle promesse Ue»,raccomandava Romani. Il Gentiloni berlinese però non sembrava affatto con il cappello in mano, quando ha chiesto «aiuto concreto perché siamo sotto pressione». «L'Italia non viola le regole, né vuole rinunciare al suo atteggiamento umanitario di salvare persone che arrivano dal mare - ha chiarito -. Abbiamo una strategia, la stiamo perseguendo. Ciononostante, siamo di fronte a dei numeri crescenti che, alla lunga, potrebbero mettere a dura prova il nostro sistema di accoglienza. Abbiamo implementato le operazioni di search and rescue, mentre l'accoglienza rimane accoglienza di un solo Paese». Ed è questa «estrema preoccupazione» che pare sia stata finalmente raccolta dai principali leader europei.

Un problema epocale che se è vero, come sostiene Minniti, che «si gioca in Africa, che è e sarà sempre più lo specchio dell'Europa e non soltanto dell'Italia», però è anche un problema di organizzazione interna. Il cui peso non può ricadere tutto sui Comuni, lamentava il sindaco di Milano, Beppe Sala, proponendo di «penalizzare chi non fa la sua parte». «Se la facesse ogni Comune, saremmo più vicini alla soluzione», concordava Minniti. Sicuro che «l'accoglienza diffusa sia fondamentale: è il modello Milano quello da esportare».

Magari fosse vero.

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