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Così l'islam è diventato il primo inferno dei gay

L'omofobia è una malattia senza confini. Ma nel mondo musulmano è ancor più esplicita

Così l'islam è diventato il primo inferno dei gay

È un gioco stupido e dannoso quello per cui i vari commenti sulla carneficina di Orlando si dividono fra chi dà tutta a responsabilità alla matrice islamica dell'attentato, e chi invece a quella omofobica. Un certo Islam è omofobico, punto. Peggio ancora, quando si attribuisce la strage al facile commercio delle armi negli Usa: gli attentatori della strage di Parigi non avevano comprato oltreoceano i loro mitra né i terroristi palestinesi a Tel Aviv. E risulta scoraggiante che Obama, che pure è stato giusto nel sostegno nazionale alla comunità gay tanto colpita, non sia riuscito a trascinare la sua oratoria oltre la parola «terrorismo» (già difficile per lui) e «crimine d'odio», hate crime, fino a sillabare finalmente la parola «musulmano» o «Islam».

La strage di Omar Mateen, di cui repugna ricordare solo il nome perché era quello che lui e l'Isis volevano, è sia islamica che omofobica. Punto. Non c'è contraddizione. Certo, esistono moltissimi islamici che non sono omofobici, e, come dicevamo, molti omofobi che non sono islamici. I primi oggi devono essere abbracciati, incoraggiati, e soprattutto deve esser richiesto loro di agire presso i loro fratelli per comunicare il loro Islam, e non quello dell'odio antigay. I secondi, anche se non hanno sparato, non si devono sentire al di sopra degli eventi di questo momento terribile per tanti essere umani con diritti pari ai nostri. Forse, anzi, è un momento opportuno per capire le loro famiglie, i loro compagni violati da una crudeltà che ogni giorno, sia pure in modo meno terribile, si avventa contro persone che dovrebbero essere protetti dal principio di eguaglianza sottoscritto dalle democrazie

Sulla mappa degli attacchi contro i gay nel nostro Paese, le botte e i delitti sono all'ordine del giorno. Il peso della tradizione giudaico-cristiana è forte, può passare dalla nostalgia per la famiglia patriarcale alla violenza. Succede continuamente, specie quando l'identificazione della comunità gay viene insieme a quella dei danni della «modernità». Angelo Pezzana ricordava ieri in un suo editoriale su Informazione Corretta come l'istigazione a uccidere i gay sia molto più diffusa di quello che si pensi, tanto da esprimersi a volte quasi inconsciamente.

Con l'Islam l'attacco è invece del tutto esplicito, e non soltanto nel caso dell'Isis che butta gli omosessuali dai tetti e manda in giro le fotografie dei delitti per testimoniare la sua fedeltà alla sharia: ci sono parecchi paesi dominati dalla sharia che hanno nei loro ordinamenti giuridici la pena di morte per gli omosessuali, e la praticano. Le immagini degli impiccati appesi alle gru in Iran sono note a tutti, e sono migliaia. I paesi islamici in cui si applica la pena di morte ai gay, cioè si compara la loro sessualità all'adulterio punito con la lapidazione sono: Afghanistan, Brunei, Iran, Mauritania, Nigeria, Arabia Saudita, Sudan, Emirati Arabi, Yemen, e Turkmenistan (solo i maschi). In molti altri Paesi a maggioranza musulmana l'omosessualità è illegale, punita con carcere e frustate e talora da squadroni della morte. La vita degli omosessuali è impossibile in quasi tutti questi Paesi e la fuga frequente, dall'Autonomia Palestinese per esempio è molto comune scappare in Israele. Le «sure» del Corano e i hadith sono espliciti e puntivi sull'omosessualità, e spiegano che «se ogni donna ha un demone, allora un bel giovane ne ha 17», e paragonano i «figli di Loth» ai criminali passibili di terribili punizioni. La Turchia, il Libano e un'altra ventina di Paesi a maggioranza islamica più propensi ad accettare la modernità (fra questi l'Albania, l'Azerbaigian, la Bosnia, e vari Paesi africani come il Ciad o il Burkina Faso) non considerano l'omosessualità un crimine, e discutono leggi di parificazione.

Dunque ci sono vari fronti: il primo è il mostro che impugna le armi e la mannaia; il secondo è durissimo comunque, e ancora sa di carcere e frustate; il nostro è il fronte ideologico contro l'irresistibile avanzare della società democratica.

Certo, le strategie di guerra sono ben diverse, e l'Islamismo richiede la più aspra.

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