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"Cari aspiranti jihadisti questo vostro islam è una malattia mentale"

Lettera al "cugino" estremista della reporter sfuggita alla strage di "Charlie Hebdo"

"Cari aspiranti jihadisti questo vostro islam è una malattia mentale"

«Il tuo islam, quello che tu pensi essere la tua identità ritrovata, non è che una malattia mentale, una cancrena della ragione, una sconfitta della tua umanità». E sulla jihad: «Sai almeno cosa vuol dire prima di praticarla? Scommetto di no». Perché tu «non hai mai dovuto difendere i tuoi diritti in arabo. Non hai mai dovuto corrompere un funzionario per avere il tuo atto di nascita, non hai dovuto tessere le lodi di un dittatore, né supplicare all'ingresso di un ambulatorio che si degnassero di curarti. I tuoi diritti li hai sempre ottenuti in francese e nonostante ciò tu odi la tua patria». È un atto d'accusa feroce e commovente, un omaggio alla Francia dei diritti e delle libertà la lettera aperta inviata a un aspirante terrorista dalla giornalista franco-marocchina Zineb El Rhazoui, 34 anni. Scampata alla strage di Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 solo per una fortuita circostanza (si trovava in Marocco in quei giorni), Zineb è una convinta secolarista che vive blindata dal 2009, da quando ha osato pronunciarsi contro l'islamismo e l'integralismo religioso nel suo triplo ruolo di sociologa delle religioni e attivista per i diritti umani. L'anno scorso i seguaci dell'Isis sono tornati a minacciarla su Twitter creando un hashtag con le foto di lei, del marito e della figlia chiedendo di ucciderli «per vendicare il Profeta».

Ma Zineb non si è fermata. Nata e cresciuta in Marocco prima di acquisire la nazionalità francese, ha affidato al quotidiano Le Figaro il suo messaggio a «un candidato alla jihad». È una lettera che potrebbe valere per qualsiasi aspirante jihadista nato e cresciuto in Germania, Regno Unito, Svezia o Spagna, immigrato di seconda, terza o quarta generazione che non ha davvero mai conosciuto la spietatezza, la privazione dei diritti, la corruzione e la miseria di chi vive sotto i regimi del Nord Africa. «Quando eravamo bambini, visto che abbiamo la stessa età - scrive Zineb - mi stupivo che tu mi chiamassi cugina quando venivo dal mio paesino sperduto a passare le vacanze in Francia. Allora pensavo che fossi molto fortunato a vivere qui. Andavi alla scuola repubblicana (laica, ndr) mentre io vomitavo corsi di religione obbligatoria, facevi sport quando il terreno di pallamano della mia scuola era una vasta area ricoperta di fango e la metà dei miei compagni aveva rinunciato alle lezioni di educazione fisica perché non aveva che un paio di sandali di plastica». Miseria mista a privazione dei diritti più elementari. A differenza del nuovo aspirante jihadista: «Tu venivi a sfoggiare d'estate le tue scarpe da ginnastica all'ultimo grido, ti curavi gratuitamente in ospedali equipaggiati quando solo i più benestanti fra noi potevano pagarsi le medicine».

Zineb racconta di come, a un certo punto, nel suo «cugino» francese siano cominciate a suonare le sirene di un vittimismo esasperato, nutrito da una classe politica che ha convinto molti giovani di origine maghrebina di non essere uguali agli altri. È un attacco senza ipocrisie alla classe politica che ha trasformato l'antirazzismo in «uno slogan elettorale». Quei politici «hanno fatto di te la loro riserva di caccia, la loro impresa commerciale. Ti hanno spiegato che tu, nato in Francia, eri diverso e che lo sarai per sempre perché è così che ti vedono loro, non io». «Io che sono tua cugina - aggiunge Zineb, che a Parigi ha conseguito un dottorato in Scienze Sociali - so che non sei escluso automaticamente ma che ti crogioli in questa posizione per odiare meglio». E infatti, «nello stesso periodo», mentre al «cugino» aspirante jihadista insegnavano «che non valeva la pena imparare a scuola» perché non avrebbe «mai trovato un lavoro», «i nuovi arrivati in Francia» come Zineb «si elevavano grazie al sapere». Ma quella di aver creato un vittimismo esagerato non è l'unica colpa che la giovane franco-marocchina attribuisce ai politici di Francia, accusati di aver coperto anche l'integralismo strisciante nelle moschee: «Ti hanno spiegato che la tua religione sosteneva la pace e l'amore mentre il tuo imam ti spiegava che dovevi picchiare la moglie. Che dico? Le mogli».

Ed ecco l'appello finale a cugino immaginario nato nella patria delle opportunità: «Quando finirai di farti passare per una vittima visto che sei tu il tuo persecutore, quando accetterai di essere il tuo solo capo e non il mercenario e lo schiavo di un'ideologia che ti disprezza come i politici che hanno fatto di te il parente povero della Repubblica, io potrò dirti, io tua lontana cugina del paesino sperduto, come fare per integrarti in Francia ritrovando la tua identità». È il tributo al Paese della liberté, egualité e fraternité contro i regimi del Medio Oriente e del Maghreb: «Ti insegnerò che Parigi è la capitale della cultura araba, quella che non ha diritti di cittadinanza sotto il cielo dei nostri dittatori.

Se sei ancora fra noi, vedrai che è possibile ricollegarti alla tua identità perduta, essendo più francese che mai».

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