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La carta della premier disperata. L'effetto panico del "no deal"

Caos si aggiunge a caos. Londra potrebbe votare a fine gennaio. La leader Tory punta sui responsabili

La carta della premier disperata. L'effetto panico del "no deal"

Una mossa disperata, dell'ultimo minuto, ma alla fine anche la mossa di una negoziatrice indefessa, che per salvare la Brexit, il Paese e se stessa, non fa che rinviare finché può il momento fatale. L'annuncio di Theresa May di postporre il voto del Parlamento, a causa di una più che prevedibile batosta in Aula, è caos che si aggiunge a caos. L'esecutivo che da oltre due anni non si occupa che di Brexit, continua a impazzire per risolvere il rebus Brexit. Il Regno Unito non è mai stato così vicino al no deal, mai così vicino a un secondo referendum, mai così vicino a un voto di sfiducia per Theresa May, a un cambio di governo e all'arrivo di Jeremy Corbyn a Downing Street.

Dopo la notizia del voto rinviato, Donald Tusk ha convocato un Consiglio europeo sulla Brexit per giovedì e già dalle prossime ore May riaprirà il suo «negoziato d'emergenza». La premier ha garantito che darà la parola alla Camera una volta incassate da Bruxelles «ulteriori rassicurazioni» sul backstop, la promessa cioè che l'Irlanda del Nord non resterà ancorata all'Unione europea a tempo illimitato. Quando? Non si sa. Difficile a questo punto che il voto arrivi prima di Natale. Da Downing Street non hanno voluto confermare nemmeno che si arriverà a gennaio. Eppure è probabile che ci si spingerà fino al mese prossimo. «Tutto dipenderà da come andranno le discussioni», ha detto May in Aula, dopo un'altra estenuante giornata in cui ha dato prova della sua resilienza ma anche della sua disperazione. La stessa premier ha lasciato intendere che passeranno almeno sei settimane. Si arriverebbe a quel punto alla data che circola in queste ore, il 21 gennaio, non prima. L'esecutivo ha fatto sapere di essere fiducioso che il 29 marzo, giorno fissato per l'uscita, sarà rispettato. Ma a quel punto al Parlamento resterebbero poco più di due mesi per varare la legislazione che porta a una Brexit concordata.

Nel frattempo, invece che migliorare, la situazione peggiora. «Non abbiamo più un governo funzionante», attacca Jeremy Corbyn, che sente il suo momento avvicinarsi. «La premier si faccia da parte». E la first minister scozzese Nicola Sturgeon lo invita a depositare una mozione di sfiducia. Eppure più il Paese rischia di trovarsi sull'orlo di un mancato accordo, più Theresa May spera di salvare la Brexit, il Paese e se stessa, contando sull'effetto panico che potrebbe spingere i deputati più responsabili a dare il via libera all'intesa. Anche Bruxelles alla fine ha bisogno che questa partita si chiuda. E nonostante tutto lascia uno spiraglio: «Non rinegozieremo l'accordo ma siamo pronti a discutere di come agevolare la ratifica.

Il tempo si sta esaurendo».

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