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Colpo di scena in Spagna Rajoy dice no a Re Felipe

Il leader Pp vincitore delle elezioni rinuncia a formare il governo: "Non esiste maggioranza"

Colpo di scena in Spagna Rajoy dice no a Re Felipe

Ancora una volta ha prevalso il buon senso del notaio galiziano. Mariano Rajoy ieri sera, a sorpresa ha spiazzato tutti e ha detto no. Grazie, ma no. No a formare un nuovo governo. Non così, non a queste condizioni; numeri troppo risicati, che più che un vuoto a perdere sarebbe un fallimento prima ancora di iniziare. E così, con quel suo garbo testardo e granitico, ha respinto la proposta di re Felipe VI di tentare di ottenere l'investitura del Congresso dei deputati. È l'onda lunga della fine del bipartitismo durato oltre quarant'anni è andato in frantumi con le ultime elezioni del 20 dicembre che si fa sentire. La politica spagnola è nel caos. I grandi partiti, il Partito Popolare e il Partito Socialista sono stati cannibalizzati dai piccoli, dagli indignados di Podemos, gli anti-casta di centro di Ciudadanos, realtà ininfluenti solo un paio di anni fa. Oggi la situazione si è ribaltata. Sono loro che dettano le regole, alle urne Rajoy era riuscito ad arrivare primo, ma senza maggioranza assoluta non si va da nessuna parte. E allora che fare, è il turno dei piccoli, degli ex indignados, che oggi possono giocarsi le loro carte, possono spostare l'ago di quella bilancia che ha sempre virato irrimediabilmente o a destra o a sinistra. «In questo momento - ha detto Rajoy - non sono in grado di presentarmi all'investitura. Non solo non ho una maggioranza a favore ma ho anche una maggioranza contro». Rajoy il premier lucido e realista, come sempre. Ma di più, insofferente ai giochetti e allergico agli inciuci che da quel 20 dicembre, si stanno compiendo. La sua mossa infatti anche se inaspettata ai più è una reazione all'annuncio arrivato poco prima dal leader di Podemos Pablo Iglesias dell'imminente avvio di trattative con il Psoe di Pedro Sanchez per formare un governo «del cambiamento». «Ho detto al re che in questo momento non ho una maggioranza» ha spiegato Rajoy, chiarendo però di «non rinunciare a nulla». Non ha senso, ha aggiunto, sottoporsi al voto del Congresso «quando altri già procedono alla distribuzione dei portafogli in un altro governo». Iglesias ieri ha chiesto sei ministri, fra cui quelli di interni e difesa, in un possibile governo Sanchez, e la poltrona di vicepremier per se stesso. «Siamo qui per governare» ha chiarito. Ma i numeri ancora non ci sono, per nessuno. Rajoy, che propone una Gran Coalicion con socialisti e Ciudadanos, per ora non ha ottenuto alcun appoggio. Sanchez lavora invece a una «coalizione alla portoghese» con Podemos. Ma le incognite sono ancora tante, e rimane forte il rischio di un ritorno alle urne in primavera se entro due mesi la Spagna non avrà un nuovo governo. Re Felipe riprenderà le consultazioni con i partiti mercoledì. Dovrebbe poi proporre a Sanchez di tentare a sua volta. Per ora non c'è stato alcun negoziato fra il Psoe e i suoi possibili alleati e i dubbi nonostante la ferrea volontà di Sanchez e Iglesias di andare al potere sono tanti. Podemos ha chiesto un referendum sull'indipendenza della Catalogna cui i «baroni» del Psoe si oppongono duramente. Una rivolta interna non è esclusa al Consiglio federale socialista del 31 gennaio. L'ingresso di Podemos nel governo suscita inoltre dubbi nella sinistra moderata e nel mondo economico, sintetizzata dal titolo oggi del lungo editoriale di El Pais: «Rajoy non può, Sanchez non deve».

La testata storica della Spagna progressista invita Rajoy a farsi da parte per consentire una allenza moderata con il Psoe, e Sanchez a rinunciare a un «pastone» che «potrebbe consentirgli di ottenere l'investitura, ma non di governare».

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