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Così finisce l'illusione nella capitale delle libertà

Barcellona era la zona franca della spensieratezza, dei costumi aperti e dei giovani. Il risveglio è atroce

Così finisce l'illusione nella capitale delle libertà

Sulla firma di Mirò gocciola il liquido del radiatore, forse olio, forse sangue. Di sicuro si spegne qui l'ultima illusione della Barcellona capitale di spensieratezza e zona franca del buen vivir.

Sul mosaico bianco, rosso, blu e giallo il furgoncino assassino sta immobile e colpevole come una pietra su un'aiuola di fiori in mezzo a un carnaio di corpi e bancarelle. Intorno, il ferro battuto sulla facciata del teatro Liceu e i surreali ombrelli della Casa Bruno Cuadros; i prosciutti appesi come quadri al Museo de Jamón e un uomo vestito da Marilyn che mostra le gambe dal balcone del Museu Eròtic. Ovunque «il trambusto consumistico della sera» raccontato da Vázquez Montalbán, fatto di turisti in bermuda e infradito, il termometro della sicurezza. Non si va a piedi nudi se non ci si sente protetti, come se niente e nessuno possa rovinare la tua passeggiata nell'ombelico mediterraneo delle vacanze.

Il senso di sicurezza è irrazionale come la paura. Ci sono posti dove la leggerezza è invasiva, quasi anestetica. Ci dev'essere un pifferaio magico sul Montjuïc che ha convinto chiunque metta piede a Barcellona che nulla di male potrà capitare. Neppure se nelle discoteche della costa si muore di risse e droga, neppure se l'intelligence aveva lanciato l'allarme jihadista. Il mondo dovrebbe aver capito che non esiste un porto dove un pazzo non possa improvvisamente attraccare e attaccare. Ma Barcellona è un'isola anche se non lo è. È stata un'isola anarchica sotto Franco, un'isola di crescita economica in una Spagna azzoppata a cavallo del Duemila, un'isola di rivoluzione permanente ai capisaldi della tradizione, dal castigliano alla corrida. Ora è l'isola del melting pot e della gioventù, dove ogni passo - infradito o no - ha la fantasia di un dribbling di Messi e nulla, dai colori alla luce, può farti pensare al sangue sul mosaico di Mirò.

Barcellona si è meritata il suo siglo de oro contemporaneo. Si è reinventata dalle Olimpiadi e ha saputo correre e attrarre genti e investimenti. Ma lo ha fatto arpeggiando sulle note del divertimento e della rilassatezza, giocando la carta irresistibile di una qualità di vita di cui andare fieri. Ecco perché i mossos d'esquadra a fucile spianato tra banchi di vongole e salame fuet, nel mercato della Boqueria chiuso e intriso di tensione e puzza di pesce, stonano più del solito. Perché Barcellona, la città che ha avuto più barricate nella storia come ricordava Orwell, non è la Bilbao dell'Eta o la Madrid di Atocha: semplicemente non ha più il terrore nella sua tavolozza.

Londra, Parigi, Bruxelles, Monaco, Berlino, San Pietroburgo le abbiamo intimamente date per perse. Arresi all'ineluttabile, apriamo gli zaini quando entriamo nei magazzini Lafayette, familiarizziamo con i soldati di pattuglia a Piccadilly Circus e proviamo a convivere con la paura che fa capolino ad ogni colpo di acceleratore più forte del solito. A Barcellona fino ad oggi sembrava di entrare in una nuvola fuori dal tempo e dallo spazio ad alto tasso di italianità, dove il problema potevano essere i botellón di turisti ubriachi, i furti, i venditori abusivi, gli affitti selvaggi o il Real Madrid dannatamente troppo forte. Ieri, con centinaia di persone chiuse dietro le saracinesche dei bar fino a nuovo segnale della polizia e senza voglia neppure di bere un gin tonic, è esplosa la sua bolla e Barcellona deve ritrovare l'aria, scoprendo come i colori di Mirò possano lasciare il passo agli incubi di Dalì, o peggio alla Guernica di Picasso.

La realtà è che Barcellona, «fonte di cortesia e vendetta degli oppressi» nei versi del Don Quijote, è il posto più lontano al mondo dalla distopia islamista: stella polare dell'Erasmus multiculturale, mecca del sesso divertito, emirato libero dei costumi più aperti, è stato il paradiso di generazioni di ragazzi innamorati di un modo di vivere all'insegna del tiki taka. Trascinarla nella ferocia della realtà e ricordarle così violentemente la fragilità da cui pensava di essere immune è stata una crudeltà che fa male all'ottimismo del mondo.

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