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Dalle valchirie dell'Est a Big Ben quel "vizio" di barare per vincere

Il più clamoroso fu Johnson, ma la Stasi creava campioni in provetta e i cinesi con il brodo dopato

Dalle valchirie dell'Est a Big Ben quel "vizio" di barare per vincere

Quello della Wada contro la Russia è sicuramente il provvedimento più duro e sistematico nella storia dello sport e in particolare dell'antidoping. Mai si era arrivati a una sospensione così lunga e totale, a trecentosessanta gradi, di un Paese, soprattutto di primissimo piano. Eppure la storia del doping, e anche del doping di Stato, è lunghissima e ha coinvolto praticamente mezzo mondo. E laddove non si può parlare di vero e proprio doping di Stato, come fu ad esempio per la Germania Est negli anni Sessanta-Ottanta, si può parlare di sistema doping organizzato da privati, come quello riconducibile al caso spagnolo del dottor Fuentes, il ginecologo che manipolava il sangue di molti atleti, anche di primo piano, di vari sport.

Ma se il fenomeno del doping è vecchio come lo sport, la lotta al doping è molto più recente, visto che lo stesso Cio ha cominciato a dare veramente la caccia ai falsificatori di prestazioni solo dopo le Olimpiadi romane del 1960, in seguito alla morte di un ciclista danese, Knud Jensen, crollato in gara vittima di un'insolazione combinata con una eccessiva assunzione di stimolanti.

La stangata ai russi va invece a innestarsi sul filone del doping di Stato nei Paesi dell'Est, evidentemente sopravvissuto alla caduta del Muro, anzi sviluppatosi in forme ancora più radicate e sofisticate. Tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta alcune nazioni oltre cortina svilupparono una vera e propria macchina da guerra in questo campo, soprattutto in sport come l'atletica, il nuoto, lo sci di fondo, con la punta dell'iceberg nella Germania Est di Manfred Edwald, il presidente del comitato olimpico cervello riconosciuto, ma scoperto e punito a posteriori, dell'organizzazione creata per affermare la superiorità della Ddr al di là delle metodologie e delle capacità tecniche della scuola di Lipsia che pure aveva forgiato fior di atleti.

Il problema è che il regime, con la copertura della Stasi, aveva organizzato un vero e proprio piano (il famigerato piano di stato 14.25 scoperto ovviamente solo dopo la caduta del Muro) che tra il '61 e l'88 aveva certamente contribuito, attraverso la somministrazione sistematica di steroidi e altre porcherie chimiche (le famose pillole blu), alla conquista di centinaia e centinaia di medaglie olimpiche e mondiali. Una pratica che portò a effetti devastanti soprattutto sulle donne bombardate di ormoni maschili (con il caso limite di Heidi Krieger, campionessa europea di getto del peso, trasformatasi in Andreas a fine carriera) e che produsse anche paradossi incredibili come l'uomo considerato il campione del mondo del doping, tale Gerd Bonk, sollevatore di pesi che però, pur avendo fatto uso di una quantità industriale di steroidi, non andò oltre l'argento a Montreal nel '76.

Ma la Germania Est non è certamente stata l'unica pecora nera in un fenomeno che, più o meno, ha coinvolto tutte le nazioni. Difficile dire chi possa scagliare la prima pietra in un panorama che va dalla clamorosa squalifica del canadese Ben Johnson, forse il dopato più famoso dell'atletica, ai sette Tour revocati all'americano Lance Armstrong o alle cinque medaglie delle Olimpiadi di Sydney fatte restituire a Marion Jones. Per non parlare dei cinesi e del loro brodo di tartaruga con cui Ma Junren aveva dopato tutti i mezzofondisti di Pechino, donne comprese. Oppure del chiacchierato nuotatore Sun Yang, il grande rivale di Paltrinieri, accusato tra l'altro di aver distrutto a martellate le provette di un controllo a sorpresa.

Adesso la Russia, forse, pagherà per tutti.

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