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"Delirio religioso" per il killer di Lione. E cinque anni fa è passato dall'Italia

Il suo racconto ai magistrati: "Ho sentito voci che insultavano Dio e che mi ordinavano di uccidere". Positivo al test della droga

"Delirio religioso" per il killer di Lione. E cinque anni fa è passato dall'Italia

Il «killer dello spiedo» che sabato ha ucciso un 19enne a coltellate, e ferito altre 8 persone alla periferia est di Lione, era passato anche dall'Italia. Prima di dichiararsi profugo e ottenere lo status di rifugiato politico Oltralpe, l'afghano 33enne ha attraversato l'Europa. In Francia arriva nel 2009 dichiarandosi «minorenne». Poi Italia, Germania, Gran Bretagna, Norvegia. Il procuratore di Lione ha svelato solo ieri il profilo del criminale. «Ha detto d'essere musulmano, d'aver sentito voci che insultavano Dio che gli ordinavano di uccidere, ma le sue parole sono state incoerenti e confuse».

Per ore, molti hanno rivisto il prologo di un film che faceva pensare a un attacco terroristico. Secondo un testimone, avrebbe gridato «non leggono il Corano» ai passanti, bersaglio della sua non meglio precisata «vendetta». Lo spiedo da barbecue e il coltello di 9 cm con cui il «profugo« ha colpito «a caso» alla stazione della metropolitana di Laurent-Bonnevay, nella banlieue di Villeurbanne, per la procura non sono sufficienti a stabilire se fosse un gesto premeditato. Nella stanza nessuna traccia di affiliazione all'Isis. Ma in una zona dove sono presenti soggetti radicalizzati, il sindaco della banlieue Jean-Paul Bret afferma che «la pista terroristica non è né scartata né provata». Un terzo coltello di 20 centimetri è stato trovato nell'auto ed è tuttora allo studio il contenuto del cellulare. Il blitz nello stabile usato come casa-rifugio dal 33enne evidenza una sequela di incongruenze, a partire dall'età. «Parziale l'ammissione dei fatti». È rientrato in Francia a giugno 2016, ha un permesso di soggiorno temporaneo valido fino al 31 gennaio 2020 ma nessun elemento di radicalizzazione». Per i medici, soffre di «stato psicotico» e «delirio paranoico» a sfondo «mistico e religioso».

Non ha precedenti e non è noto ai Servizi. Mentre gli abitanti della zona spiegano a Le Parisien di averlo «già incrociato una o due volte sull'autobus C8, sempre piuttosto teso e ha persino aggredito una donna una volta». La pista terroristica è ancora secondaria. Ma non esclusa. Si provano a ricostruire gli spostamenti: «Sarebbe venuto in Francia per la prima volta nel 2009, localizzato in Italia nel 2014, in Germania nel 2015 e in Norvegia nel 2016». Vive nel centro per rifugiati di Vaulx-en-Velin, a 3 chilometri dal luogo dell'attacco. Non parla francese. Resta in custodia per «omicidio» e «tentato omicidio», mentre 40 persone sono ancora assistite dalla cellula psicologica attivata dopo il terrore seminato tra pendolari, turisti e passanti.

La prefettura ha attivato un numero verde per chiunque abbia informazioni utili all'inchiesta. In attesa di chiarire le zone d'ombra che già in passato hanno visto la Francia attendere qualche giorno prima di risalire al profilo di chi, inizialmente, pareva un semplice squilibrato, il dibattito vira sui buchi neri nel sistema di accoglienza. «Il lassismo della nostra politica migratoria minaccia gravemente la sicurezza dei francesi», tuona Marine Le Pen. A maggio un 24enne algerino lasciò un pacco bomba davanti a una panetteria proprio nel centro di Lione per poi dileguarsi in bici, ma dimenticò di pulire le tracce sul computer dove risultava materiale esplosivo ordinato su Amazon e il suo giuramento all'Isis.

Del presunto 33enne si sa invece ancora troppo poco. Gli esami tossicologici confermano il «consumo di droghe pesanti» e resina di cannabis.

Le indagini della polizia giudiziaria continuano tra Parigi e Lione per capire se si sia trattato di un raptus dovuto a cocktail di stupefacenti o se l'afgano sia più di un semplice profugo impazzito.

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