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Diretto ma pragmatico. Così "The Donald" cambia il Medio Oriente

La politica estera della Casa Bianca modifica gli equilibri internazionali. A partire dal dossier Iran

Diretto ma pragmatico. Così "The Donald" cambia il Medio Oriente

Se il mondo non fosse così distratto, e certo non a torto, dalla valanga di notizie trash che sommergono i giornali con sesso e sbotti verbali impensabili, ci si accorgerebbe che il Medio Oriente sta prendendo strade nuove e diverse dal passato. L'abbraccio, ieri, forte e prolungato all'aereoporto di Delhi fra il premier indiano Narendra Modi e quello israeliano Benjamin Netanyahu non avrebbe mai potuto aver luogo senza un cambiamento di scenario complessivo.

L'India è un leader del campo «non allineato», Israele dovrebbe esserle invisa per tradizione. E senza un cambio di scenario internazionale mentre si disegnano nuove alleanze, probabilmente l'esplosione spettacolare sabato, della grande galleria di Hamas che portava i terroristi da Gaza non solo in Israele ma anche in Egitto non avrebbe avuto luogo. Sono quattro gallerie saltate per aria in due mesi: una minaccia molto consistente a Hamas, che, in questo caso, sembra contenere anche un implicito silenzioso consenso egiziano.

Lo sfondo, spettacolare ma molto ben ponderato, una vera mossa strategica di politica internazionale, è stata, venerdì la presa di posizione di Trump sulla questione iraniana: si era partiti qualche mese fa dalla non certificazione del trattato, poi dalla minaccia di «non rinunciare alle sanzioni nucleari» implicitamente avviando la cancellazione dell'accordo del 2015. Arrivata la scadenza della decisione, Trump ha annunciato che invece «rinuncia» alle sanzioni, cioè mantiene il trattato a patto che venga rivisto con un accordo Usa-Europa: entro 120 giorni, chiedono gli Stati Uniti, il pessimo accordo voluto da Obama deve essere rivisto insieme ai partner europei; una partnership che al momento l'Europa, che ha subito richiesto che non si pensi a cancellare l'accordo, non sembra vedere favorevolmente, ma che probabilmente dovrà prendere presto in considerazione, pena il crollo del rapporto coll'Iran. «Attenzione» ha detto infatti il presidente americano «è l'ultima volta». E subito la Russia, ha ritenuto la proposta di Trump «estremamente negativa». E di nuovo Federica Mogherini ieri durante una cerimonia a Bruxelles ha lodato il trattato, ha detto che funziona benissimo, e che l'intenzione è di mantenerlo così com'è.

Si vedrà. Le correzioni, e sarebbe difficile per chiunque negarlo, appaiono indispensabili alla luce dell'esperienza e del buon senso: l'Iran, secondo i punti elencati da Trump come irrinunciabili, deve consentire che si vitino anche i siti richiesti dagli ispettori internazionali, cosa che oggi è vietata nelle strutture militari; si deve cancellare la scadenza (adesso è di soli dieci anni) del divieto di arricchimento dell'uranio; il programma e gli esperimenti balistici, le parate e le guerre continue di conquista devono cessare.

È stata questa la risposta di Trump da una parte alle pressioni europee tutte filo-accordo e filo-regime persino nei giorni della rivolta disperata del popolo iraniano, e in cui la gente chiede pane mentre gli ayatollah spendono 15 miliardi per la guerra di Assad, 150 milioni per le milizie irachene, 800 milioni per gli Hezbollah e 100 per Hamas, devono venire a far parte del trattato. La risposta dell'Iran a Trump naturalmente è stata arrogante. Trump secondo il presidente Rouhani «ha fallito nel distruggere l'accordo... che è una vittoria strategica per l'Iran». E la seconda parte della frase è vera, nonostante i patetici tentatici dell'Unione europea di presentarlo come un'acquisizione storica. È un penoso accrocchio di compromessi che non ha trattenuto l'Iran né dalle molteplici guerre di aggressione, né dall'espansione balistica, né dal ruolo di finanziatore internazionale di violenza e terrore. E nemmeno la speranza che il popolo iraniano potesse goderne ha funzionato, come si è visto nella rivolta.

L'insistenza europea è cinica e miope, un po' come quando dice che Gerusalemme non è la capitale d'Israele.

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