Donald Trump

Donne contro Donald ma mai contro il burqa

Denunciano la sua (presunta) misoginia ma restano zitte sui Paesi dove vige la lapidazione

Donne contro Donald ma mai contro il burqa

tratto da l'Intraprendente

È la Botteri tra le prime a gongolare al tiggì per la nuova geniale trovata del genere «inquantodonna», stavolta di portata mondiale: scendono in piazza in ben 600 città (così dicono ma i numeri in questi casi sono tutt'altro che matematici) per far sentire la loro voce contro la misoginia, il razzismo e l'omofobia di Trump. Non solo. Data la naturale propensione femminile all'altruismo, all'istinto da crocerossina e a tutte quelle nobili qualità appioppatele da chissà quale studio pseudoscientifico, ecco che l'oggetto della contestazione si allarga includendo tutto in un circo multiculti, multigender e multiuso: a Washington e in altre città con le donne hanno sfilato famiglie, migranti, neri, ispanici, ambientalisti, anti-razzisti, omosessuali, transgender, sindacati, associazioni che si battono per la riforma giudiziaria, contro la povertà, per l'istruzione pubblica, per la libertà di stampa e molto altro. Mancava solo l'associazione del Punto croce contro le multinazionali che producono aghi da cucito pericolosi per l'integrità del pollice, ma chissà, forse c'era anche quella.

Ora potremmo sparare sulla croce rossa ricordando alle modelle femministe da sfilata umanitaria che le prime vittime femminili, ma anche maschili, infantili, gay, per cui protestare globalmente risiedono in Paesi che è ancora troppo corretto definire Terzo Mondo, posti in cui la lapidazione per adulterio, l'impiccagione per omosessualità, la tortura, i divieti di libertà, ne fanno Paesi del Quinto o Sesto mondo anche se hanno un Pil pro capite come il Qatar, primo davanti a Lussemburgo e Norvegia.

Ma concentriamoci su Trump, l'ingrediente velenoso del cocktail, perché se vinceva Hillary il mondo sarebbe stato un posto migliore, dicono le donne, e chi se ne importa della politica internazionale assassina attuata. Trump è razzista, però Melania è slovena e se l'è pure sposata, o forse non è abbastanza nera o abbastanza cozza per essere degna della considerazione delle donne, sempre così solidali tra loro? Quanto all'omofobia, erano tutte e tutti lì a marciare liberamente e senza bavagli per i diritti già ottenuti dei gay, anche se ogni tanto vengono appesi per i piedi alla pubblica gogna già nel giorno dell'insediamento di Trump, così come avviene nelle piazze di Bagdad. Resta la misoginia, e qui qualche dubbio francamente lo nutriamo: Melania indossava lunghi guanti azzurri, si inizia sempre dai guanti per arrivare al burqa, mentre Michelle esibiva mani e bracciotte da libera e ruspante zappatrice d'orti. Inoltre Melania si è mostrata rigida e impacciata nel ballo, ulteriore segno di costrizione della donna tra le mura domestiche, campanello d'allarme e primo passo verso il femminicidio. Quanto alle denunce per molestie sessuali occorse decenni fa, moltiplicatesi per magia in campagna elettorale e mai sfociate in condanne, ecco il cavallo di Troia vuoto tirato per la criniera dalle paladine della giustizia globalizzata, donne che pretendono di passare inosservate quand'anche esibissero la giarrettiera in ufficio o di dimostrare di avere un cervello inversamente proporzionale alla mise da nonna Papera.

Dai villoni hollywoodiani sono scese in piazza Scarlett Johansson, Charlize Theron, Madonna (censurata dai media per volgarità, novità neppure più quella), il regista Michael Moore e compagnia cantante e recitante. Hillary Clinton, la benefattrice di quell'umanità sopravvissuta ai suoi attacchi militari, ringrazia via twitter la @womensmarch dei pussy hat, il cappuccio rosa ispirato all'utero femminile. Che gran bello spettacolo. Magari fatto confezionare in un Terzomondistan di turno, esente da sindacati e sfruttatore di bambini, che però è così bello aiutare.

Il Sole 24 Ore è lapidario: «Non ci sarebbero state le 500mila persone in piazza se Trump non avesse pronunciato quel discorso di insediamento aggressivo e divisivo», come se la folla mondiale si fosse organizzata nei 5 minuti successivi; il Fatto Quotidiano scrive che «siamo all'inizio di 4 anni tra i più duri e combattivi della storia americana».

Sempre il Sole: «Abbiamo visto il Presidente chiuso alla Casa Bianca a meditare la linea d'azione politica», manca che sappiano quanti rotoli di morbidezza usi ad ogni seduta «di gabinetto».

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